domenica 7 luglio 2019

SCIENZA E CULTURA NEL SEMINARIO SULLA ROBOTICA ALL’UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

ARTICOLO ESTRATTO DA IL CENTROINFORMAZIONE.ITANANKE NEWSIN DIALOGOVOX PUBLICALA NOTIZIATM NOTIZIEGIULIANOVA NEWSWALL NEWS 24SALUTE PER MEALL NEWS ABRUZZOEKUO NEWSIL FARO 24 E RADIO AZZURRA.


Eguagliare l’uomo in tutti i suoi aspetti − cognitivi e tecnici in primis − è stato da sempre il fine ultimo della robotica, una scienza del futuro la cui conoscenza precisa e dettagliata rimane oggigiorno preclusa a larga parte del mondo accademico e non. Il dipartimento di medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente dell’Univeristà degli studi dell’Aquila, nella lungimiranza che ha da sempre contraddistinto la sua azione formativa, ha dunque deciso di organizzare per la giornata di oggi un seminario di caratura nazionale in collaborazione con l’associazione culturale Nuova παιδεία per illustrare al meglio tale scienza in un’ottica interdisciplinare, al fine di fornire una visione a 360° degli argomenti trattati. ‹‹Abbiamo lavorato mesi per organizzare questo notevole seminario›› osserva il prof. Gabriele Gaudieri, docente di pedagogia presso l’Università degli studi dell’Aquila, nonchè presidente di Nuova παιδεία ‹‹ed oggi siamo orgogliosi di aver potuto realizzare un evento che è stato così ben accolto da un largo pubblico di studenti e non, e che ha proiettato l’Università dell’Aquila e l’intero Abruzzo direttamente nel futuro››. Tra l’altro, è stato proprio il professor Gaudieri ad aprire il seminario di robotica, citando l’opera rivoluzionaria di Maria Montessori e parlando di un argomento indubbiamente originale quale la robotica educativa e le sue relative sperimentazioni in Italia; ha dunque preso la parola anche il dott. Massimo Mazzetti di Carsoli, disquisendo di robotica applicata ai soggetti diversamente abili, e poi il prof. Enzo Sechi docente di neuropsichiatria presso l’Università degli studi dell’Aquila − che ha illustrato le applicazioni terapeutiche della robotica in ambito neurologico; il professore d’informatica Massimo D’Amario ha invece tenuto una lezione tecnica di programmazione robotica, mostrando in azione al pubblico presente in sala anche robot molto particolari e “ludici”, come quelli fabbricati dalla Lego, che pur tuttavia permettono ai bambini di divertirsi coi noti mattoncini colorati senza perdere però l’occasione di imparare le basi dell’informatica e dell’intelligenza artificiale (I.A.). Quest’ultimo argomento è stato magistralmente approfondito dal dott. Eugenio Flajani Galli − psicologo giuliese autore di numerosi testi scientifici − il quale ha da un lato trattato tutti i benefici che l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie informatiche possono apportare all’umanità, dall’altro ha però messo in guardia dall’uso non appropriato di tali nuovi strumenti e, dati alla mano, ha citato tutti i casi in cui le “macchine” (computer, smartphone, tablet...) sono malauguratamente utilizzate in maniera disfunzionale e dunque hanno dato vita a rilevanti problematiche sociali molto d’attualità al giorno d’oggi quali gli IAD (internet addiction disorders), la pedopornografia digitale, l’adescamento dei minori attraverso i videogiochi online, il cyberbullismo, l’information overload...e soprattutto, dopo aver passato in rassegna tali problematiche, ha anche fornito le indicazioni pratiche su come fare per porvi rimedio e riuscire dunque a tornare ad essere veramente padroni delle macchine e della propria vita. Digitale e non. La sessione pomeridiana del seminario è stata invece contraddistinta dagli interventi del prof. Antonio Lera − docente dell’Università degli studi dell’Aquila e neurologo dirigente medico dell’ASL, nonchè presidente del Rotary Club Teramo Est e dell’associazione culturale γάπη - Caffè letterari d’Italia e d’Europa − e dell’economista e presidente S.E.I. Vincenzo Pietropaolo, i quali hanno rispettivamente trattato del confronto tra le attività proprie del robot e quelle dell’essere umano e di robotica applicata all’economia. In conclusione la dott.ssa Alessandra Norcini ha illustrato la relazione esistenziale intercorrente tra esseri umani e robot. Da segnalare, infine, la gradita sorpresa fatta dall’avv. Fabrizia Aquilio, assessore al turismo e alla promozione dell’immagine del Comune dell’Aquila, la quale ha portato i saluti di tutta la giunta comunale elogiando la “nobile opera educativa che l’Università degli studi dell’Aquila offre agli universitari del capoluogo abruzzese e − più in generale − alla cittadinanza tutta”. Un’opera, oggigiorno, utile più che mai.

sabato 6 luglio 2019

SONO LA FIAMMA CHE VI RISCALDA IL CUORE. IL MIO NOME É ATTRAZIONE

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA FARE CULTURAANANKE NEWS.


Massimo e Chiara si incrociavano ogni mattina verso le 7, al binario 3, in attesa che passasse quel regionale che li portasse ai rispettivi posti di lavoro. Ancora non c’era Tinder, e loro due si conobbero senza guardare lo schermo retroilluminato di uno smartphone, ma guardandosi negli occhi, quegli occhi con le pupille dilatate che lui puntava su di lei, mentre era frettolosamente intenta a truccarsi, lì, su quella panchina che occupava ogni mattina, proprio dinanzi a quella su cui egli si sedeva e cercava di occupare con l’unico fine di ammirarla per qualche flebile minuto, mentre lei era ancora impegnata a stendere il rimmel sulle ciglia, a posare il rossetto sulle labbra e a ordinare i mille pensieri nella testa. E c’era anche Massimo tra i suoi pensieri. Benchè questi non aveva la più vaga idea che Chiara avesse capito il suo interesse per lei, questo suo dubbio aveva trovato una risposta nel suo sguardo fresco di rimmel: anch’ella posava gli occhi su di lui, per poi repentinamente spostarli altrove nel momento in cui egli li incrociava con i suoi.

Un gioco di sguardi che lasciò spazio alla parola allorchè quell’uomo così misterioso e galante le raccolse prontamente tutte le carte che lei aveva lasciato cadere a terra, a poca distanza da lui. Con l’unico scopo di capire la sua reazione. Con l’unico desiderio di scoprire se quell’uomo fosse veramente attratto da lei o meno. ‹‹Oh, molte grazie! Non dove...›› ‹‹Ma si figuri!›› la interruppe lui ‹‹caschiamo per terra dal sonno noi a quest’ora...forse anche le carte non si tengono in piedi dal sonno!››. Carte a cui Massimo aveva comunque dato un’occhiata, nell’atto di raccoglierle, per capire di cosa si occupasse Chiara: ‹‹Ma quindi lei è un’agente immobiliare? Ho visto che ci sono delle carte riguardanti immobili...›› ‹‹No, sono segretaria in uno studio notarile››. Poteva anche limitarsi a un secco “no” Chiara, la quale aveva però continuato con lo svelare il suo lavoro a Massimo, proprio perchè quell’uomo esercitava un certo fascino in lei. Lo stesso fascino dell’ignoto, del mistero, che egli provava nei suoi confronti e che già era stato appagato per il fatto di essere venuto a conoscenza del lavoro ch’ella faceva. Sì, perchè è proprio la nostra atavica, odisseica sete di “virtute e canoscenza” di dantesca memoria uno degli elementi più rilevanti tra quelli che contribuiscono a farci considerare un potenziale partner come attraente o meno. Ciò che è ignoto e misterioso rappresenta una sfida a noi stessi. Socrate già ci insegnava che noi uomini “sappiamo di non sapere”, e questa non è l’esaltazione dell’ignoranza, bensì un mero prenderne atto. Anche in quanto è proprio dall’ignoranza che nasce la conoscenza, ed ecco perchè tutto ciò che a noi è sconosciuto e misterioso è allo stesso tempo attraente, poichè simboleggia ciò che di nuovo c’è per la nostra mente. Come per dei coloni una prateria incontaminata che ricorda l’Eden, come per degli esploratori una terra che non ha mai visto l’impronta dell’uomo e che non è segnata su nessuna carta geografica, come per i romani una futura provincia da assoggettare al loro impero. Di questo ne parlava anche Calgaco, capo dei caledoni, in un discorso riportato dallo storico Tacito: i romani − non a torto definiti “ladri del mondo” − sono descritti come dei predoni che cercano di conquistare l’intero universo, avventurandosi persino in terre assai remote e misteriose pur di farlo. E che magari vi si recano proprio a causa del fascino che il mistero esercita su di loro: chissà quali inestimabili ricchezze celano queste terre così lontane e avvolte da quest’aura di mistero? Allo stesso modo, quali segrete virtù può celare quest’uomo o questa donna di cui so poco o nulla? Questa è la base su cui poggia l’attrazione, questa è la scintilla che dà vita all’innamoramento, al desiderio di conoscere l’altro e, perchè no, anche di costruirci insieme qualcosa di serio. Massimo e Chiara l’hanno costruito: ora sono sposati e hanno due bambini piccoli. Quando li conobbi − a causa della loro richiesta di aiuto per uscire da una relazione divenuta “piatta e monotona” − gli feci una delle primissime domande che faccio a qualsiasi coppia: “come vi siete conosciuti e cosa avete trovato di interessante l’uno nell’altro?”. Loro mi risposero raccontandomi, appunto, di come si erano conosciuti, con quel fugace gioco di sguardi, con quei sorrisi flebili ma allo stesso tempo impertinenti, perchè le emozioni che questi gesti corporei palesavano andavano inesorabilmente a scontrarsi con la ferrea e sorda etichetta sociale che non prevede che vi siano emozioni − e soprattutto di tipo romantico − in un ambiente freddo e spoglio come una stazione, in una carrozza gelida e fatiscente come quella di un treno regionale...la stessa carrozza che però ha permesso, piano piano, alle loro vite di incrociarsi. Come quando Chiara ha detto a Massimo che la Wind le avrebbe regalato degli MMS da utilizzare sul suo numero, ma che lei non aveva avuto modo di utilizzarli in quanto il cellulare era nuovo − “disponeva addirittura di fotocamera” − e quindi, dato che non sapeva come utilizzarlo, chiedeva a Massimo di insegnarglielo (benchè in realtà la storia dei regalini della Wind era l’ennesima scusa per attaccare discorso) e via dicendo. Il mistero ha alimentato il loro rapporto giorno dopo giorno, e giorno dopo giorno ognuno provava qualcosa in più per l’altro. Oramai però stavano insieme da più di 10 anni, e ognuno sapeva tutto dell’altro, ma proprio tutto. La loro vita era composta da rigide routine quotidiane, bambini piccoli da accudire, mutui da pagare, faccende varie, stress e insoddisfazioni di ogni genere e sorte. Avevano semplicemente smesso di sedursi a vicenda, avevano smesso di provare emozioni, di uscire da quel circolo vizioso che ci proietta in un circuito chiuso su cui trottare come se fossimo tutti dei semplici cricetini in gabbia. Ma avevano comprato anche una bella casa, con dentro pure un camino. Gli chiesi pertanto: ‹‹Lo accendete mai questo camino?›› ‹‹Sì, molto poco, ma lo accendiamo...tipicamente sotto Natale perchè piace ai bambini››. ‹‹Bene›› gli risposi ‹‹allora avrete anche quell’attrezzo che serve per soffiare sul fuoco...ce l’ho anche io a casa ma non ricordo il nome...›› ‹‹ah sì, ho capito ma non viene nemmeno a me›› mi fece lui. ‹‹Cerchiamolo su Google!›› mi fece Chiara, la quale aveva oramai dismesso il suo telefonino che “disponeva addirittura di fotocamera” per un nuovo smartphone di proporzioni gigantesche; ‹‹Mantice, così si chiama›› mi disse lei dopo aver consultato Google. ‹‹Bene›› gli feci io ‹‹allora voi sapete che per tenere viva la fiamma che arde nel vostro camino dovete soffiarci sopra con il mantice, no? Però non ci si deve nemmeno soffiare troppo o con troppa intensità, altrimenti la fiamma rischia di spegnersi. Ora, facciamo conto che la fiamma sia l’amore. Il vostro Amore. Quello che vi ha permesso di conoscervi persino in uno schifo di stazione, con i vostri gesti corporei che sfidavano le norme sociali, sfidavano il giudizio altrui...quello sguardo con cui tu, Chiara, guardavi proprio l’uomo di cui ti saresti innamorata, che sarebbe divenuto tuo marito e padre dei tuoi figli. Quello sguardo che tu però distoglievi, perchè per la società non è cosa che si addice a una donna fissare un uomo. E da quella sinfonia di sguardi sono poi nati dei pensieri e quindi altri gesti e in ultimo delle parole; e così di nuovo altri pensieri, altri gesti e altre parole...fino a farvi innamorare e decidere di passare il resto della vostra vita insieme. Non lasciate, pertanto, che questa fiamma muoia (e con essa tutto il bene che vi può portare) ma tenetela viva il più che potete, affinchè riesca ad ardere e riscaldare i vostri cuori››. Dopo aver spiegato loro, anche a livello più pratico, termini e modalità per poter riaccendere la fiamma dell’attrazione che in loro si era oramai spenta, essi mi dissero − l’ultima volta che ci vedemmo − che è stato un po’ come prendere una macchina del tempo, come ricominciare ad utilizzare qualcosa che non si è più utilizzato da anni ed anni...ad esempio il telefonino che “disponeva addirittura di fotocamera”. Riscoprendo il valore terapeutico dell’attrazione, Massimo e Chiara hanno saputo (ri)scoprire anche un’altra cosa, molto importante: che il volersi bene, e il continuare a sedurre il proprio partner giorno dopo giorno sono dei valori imprescindibili per una sana e corretta vita familiare. E in questo loro percorso hanno imparato molto, anche cose brutte, come il fatto che il nemico principale dell’attrazione sentimentale è proprio il tran tran della vita quotidiana, che ci obbliga a uno stile di vita che lascia poco spazio ai sentimenti, alle novità e...alla felicità. Spesso, purtroppo, l’unica occasione per evadere è giusto quella sparuta settimana di ferie...o ancora il mondo dei sogni, in cui è possibile rintanarsi almeno per qualche ora al giorno, per sfuggire a una realtà che pare più un incubo. Ma se la realtà quotidiana fa lavorare l’emisfero sinistro del cervello (quello più razionale), la passione ha bisogno del funzionamento di quello destro (quello più emotivo e creativo). Per il benessere della coppia, per non spegnere la favella dell’attrazione, per vivere una vita sentimentale soddisfacente, iniziamo proprio con il far funzionare (anche) questo emisfero. Lo so, è poco di moda al giorno d’oggi, ma dato che non siamo degli automi − a dispetto di come la società odierna ci vorrebbe − le emozioni servono ancora. E se servono per una buona causa, come creare e mantenere accesa l’attrazione in una coppia, allora non ci resta che accettarle per quello che sono e imparare a capirle. Perchè se sono sconosciute fanno paura, ma se si conoscono e si sa come utilizzarle possono fare la differenza tra una vita felice e una che non lo è.

VINCI SALVINI: IL GIOCO CHE RIDUCE LA POLITICA A BARZELLETTA

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA AVANTI! ONLINE E ANANKE NEWS


Che oggi il modo di fare politica sia cambiato è cosa nota, ma che un ministro dell’Interno e vice premier lanci uno sgangherato concorso a premi sui social ha dell’incredibile. Mi riferisco al gioco tutto 2.0 “Vinci Salvini”, che oramai da una settimana permette di poter vincere la propria foto pubblicata sui social del ministro dell’Interno, oltre a una telefonata con quest’ultimo o − come super premio − addirittura un incontro di persona con il “capitano” per prendere un caffè insieme (sperando che almeno quello sia offerto da lui). Partecipare è facilissimo: vince chi mette più mi piace e/o interazioni e/o commenti ai post di Matteo nel minor tempo possibile. Insomma, trattasi di un giochino così puerile che anche un bambino della scuola elementare potrebbe svolgere. Sempre che lo accetti, però, dato che la stragrande maggioranza dei giochi fruibili da parte dei bambini delle elementari è, giustamente, molto più articolata del “Vinci Salvini”. Potremmo pertanto sostenere che tale gioco è più che altro idoneo per un target di primati non umani, aventi però il pollice opponibile utilizzabile al fine di scorrere il più velocemente possibile lo schermo e premere mi piace sui post del capitano. Il Vinci Salvini è altresì un gioco che ho voluto attendere a recensire, al fine di comprenderne la riuscita. Una riuscita, però, molto modesta sia in termini quantitativi − se pensiamo che gli iscritti sono fino ad oggi solo poche migliaia a fronte dei 6 milioni di follower complessivi di Matteo facendo la somma di tutti i suoi canali social (magari poichè gran parte di loro sono inattivi o fake?) − sia in termini qualitativi, se teniamo conto del fatto che tale operazione a premi ha sollevato più critiche che apprezzamenti. E come potrebbe essere il contrario? Innanzitutto suona come presa in giro che un’operazione a premi permetta di vincere una telefonata o, al massimo, l’incontro con un ministro: a parte che non è specificato quanto tempo debbano durare telefonata ed incontro (e quindi tali interazioni con il vice premier potrebbero benissimo ridursi a un semplice “ciao, sono Matteo, come va? Che mi racconti? Bene, bene, mi ha fatto molto piacere conoscerti...bacioni, saluti....”), è cosa nota che Salvini, in quasi tutti i suoi interventi e comizi, ripeta sempre le stesse cose − trite, ritrite, scontate, ma molto facili da comprendere − e allo stesso tempo si guarda molto bene dall’affrontare tematiche scomode, come il rispondere a tutti quei meridionali che gli domandano come mai ora non sono più dei “terroni di merda” oppure il fornire una risposta a chi gli chiede dove sono finiti i quasi 50 milioni di soldi pubblici di cui la Lega Nord ha usufruito illegalmente. Quindi non aspettiamoci di divenire partecipi di chissà quale rivelazione “illuminante” al termine di un caffè o di una telefonata con Salvini. Ma, tra l’altro, è concepibile che un concorso indetto da una delle massime cariche del governo si limiti al voler produrre semplici click e stringati commenti sui social? Magari sarebbe auspicabile che un ministro dia il via a un concorso più utile per la società, come un premio per una tesi di laurea o di dottorato particolarmente meritevole, o ancora per un libro che ha toccato delle tematiche sociali interessanti....nulla di tutto ciò. Il Vinci Salvini, in parole povere, è niente di più di un gioco in cui l’unico vincitore è Salvini stesso. I concorrenti giocano, s’illudono di vincere, ma chi vince è sempre lui: infatti tutte queste interazioni social permettono di aumentare l’engagement dei profili social, in altre parole accrescere la reputazione online di Salvini mediante tutti quei like, commenti, cuoricini, eccetera messi appositamente per vincere il concorso. Ricorda molto da vicino tutti quei siti − rintracciabili con delle semplici ricerche su Google come “aumentare follower Instagram”, “avere più mi piace sulla pagina Facebook”, “accrescere follower su twitter”, eccetera − che permettono il cosiddetto “pay per click”: si tratta di società che, a fronte del pagamento di una cifra variabile a seconda del numero di nuovi follower su Instagram, nuovi mi piace su Facebook, nuovi iscritti al proprio canale YouTube...che vogliamo, permette di accrescere il numero di “consensi online” dei nostri canali social. Il meccanismo è molto semplice e può essere sfruttato anche in politica: se un candidato vuole dimostrare che le cose che dice sono ben accette dalla maggior parte degli elettori, potrebbe essere intenzionato ad aumentare, ad esempio, il numero dei suoi fan sulla sua pagina Facebook (il meccanismo mentale alla base è: “se io, elettore, vedo che un politico è seguito da più persone, magari penso che sia più importante, più bravo, più competente, con più possibilità di riuscita alle elezioni...quindi lo voto”), dunque con una semplice ricerca su Google trova un sito che permette di accrescere il numero dei fan della propria pagina. Come? Il sito in questione, praticamente, fa da intermediario: fa pagare una cifra, come spiegato sopra, a chi intende aumentare il numero dei likes e poi corrisponde parte di quell’importo (generalmente pochi centesimi per ogni click) agli utenti che effettivamente cliccano “mi piace” sulla pagina in questione. La differenza tra le entrate − da parte di chi vuole aumentare il numero di fan alla propria pagina Facebook − e le uscite − destinate a chi ci clicca “mi piace” − costituiscono il guadagno della società che gestisce il sito. La Lega ha però trovato il modo di scavalcare tale investimento di acquisto di fan, followers, mi piace e così via, semplicemente creando questo Vinci Salvini: infatti l’esborso che il partito va a pagare in tal modo è pari a zero. Ah dimenticavo, forse pari a pochi spiccioli se calcoliamo che probabilmente il “capitano” offra il caffè a quei pochi eletti della sua “ciurma” che avranno il privilegio (?) di incontrarlo.
E non è finita qui, poichè il Vinci Salvini costituisce una reale minaccia per la privacy, poichè − essendo un’operazione a premi − necessita di registrazione per poter partecipare, prevedendo dunque la raccolta dei dati personali e sensibili di tutti gli iscritti, al fine di schedarli e profilarli. Ma oltre a ciò, questo opinabile gioco costituisce anche un vero e proprio pericolo per la salute mentale in quanto, al fine di avere maggiori probabilità di vincere Salvini, è necessario passare più tempo possibile sui social, andando ad alimentare la possibilità di soffrire di IAD − ovvero di sindrome da dipendenza da internet, di cui ho ampiamente trattato − e a sottrarre del tempo da impiegare per attività più utili, come l’informarsi sui programmi e i candidati dei vari partiti che si presentano il 26 di questo mese, anzichè cliccare “mi piace” il più velocemente possibile a tutti i post che scrive uno solo di essi, senza nemmeno leggerli (altrimenti come si farebbe a cliccarci in modo più celere degli altri concorrenti?). In ultimo, non si può tralasciare il danno di immagine che un “gioco” di questo genere arreca all’immagine dell’Italia intera, che all’estero rischia sempre più di essere vista come una grande repubblica delle banane, con un ministro e vice premier che si preoccupa più di farsi bello sui social che di fornire soluzioni e risposte ai cittadini. Risposte che sicuramente non verranno fornite nemmeno con il PREMIO − se così dobbiamo definire il DIRITTO di ogni cittadino di essere sentito da un rappresentante del popolo − di interloquire con un ministro al telefono o in un qualche bar. Sì, perchè come accennato in precedenza, Salvini non dialoga con nessuno durante i suoi incontri con l’elettorato. I suoi discorsi sono monounivoci: o si è in accordo con lui su tutto oppure si deve tacere. Ne è l’ennesimo esempio il suo ritorno in Abruzzo, a Montesilvano e a Giulianova, ove già aveva fatto il suo show a inizio anno tenendo il comizio con la maglia del Giulianova Calcio. Accompagnato come al solito da un dispiegamento di forze dell’ordine − pagate coi soldi pubblici − talmente imponente da fare addirittura paura ai residenti di una città di 24000 abitanti come Giulianova, in cui non si era mai visto un simile “esercito” prima d’ora, nemmeno durante la visita del premier Conte durante la Vigilia di Natale (il quale, seppur superiore come grado a Salvini, disponeva però di una scorta pari a nemmeno un decimo di quella che accompagnava quest’ultimo), ha quindi tenuto il suo solito monologo fatto di frasi fatte e battute paesane, senza però spingersi minimamente ad azzardare un dialogo con il pubblico lì presente. E guai a criticarlo: si viene prontamente allontanati (o fermati) dalla Digos, e se si è sfortunati vengono anche sequestrati i propri effetti personali. Ecco che bella persona vincono i vincitori di Vinci Salvini. E, a mio parere, questo gioco di parole è anche più intelligente del giocare a Vinci Salvini.


NOTA BENE: sono venuto a sapere di quanto accaduto a Giulianova in occasione del ritorno di Salvini non di persona ma tramite fonti terze (stampa, passaparola, social...), poichè in uno scempio di evento simile ho avuto la fortuna di non trovarmi nemmeno per sbaglio, in quanto ero in vacanza a Palma di Maiorca. Ma sfortunatamente in compagnia anche del mio smartphone con Google News preinstallato, che a un certo punto ha pensato bene di spiattellarmi sulla home la notizia del Vinci Salvini. Dopo averla letta ho riflettuto seriamente sull’ipotesi di rimanere a Maiorca come expat....

TUTTE LE RAGIONI − E I RISCHI − DELL’(AB)USO DELLA TECNOLOGIA

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA ANANKE NEWS E POLITICAMENTE CORRETTO.


Dai tempi della rivoluzione industriale si specula sull’ipotesi che la macchina possa eguagliare le capacità umane, se non superarle. Un dibattito, oggi, ancor più accentuato da tutte quelle innovazioni tecnologiche nate nel nuovo millennio e che hanno fornito all’uomo e alla società una tecnologia sempre più avanzata e vicina − nelle forme e nelle finalità − alla natura della mente umana. O almeno questo è quanto vogliono farci credere. I tanti device tecnologici e informatici sempre più a misura d’uomo, sempre più umanizzati e fruibili da parte di qualsiasi utenza rispondono infatti alla pressante finalità di marketing di voler presentare la tecnologia come così avanzata dall’avere un’indole umana, talmente umana al punto da apparire così simile al nostro modo di essere e di pensare (per appagare la necessità di percepirla familiare e dunque sicura) e deputata a svolgere le nostre stesse attività (per appagare la necessità di percepirla estremamente utile, dunque irrinunciabile). Insomma, tutto quel che serve per poter indurre i consumatori a fare un uso sempre più largo della tecnologia, sempre più avanzato ed esagerato da causare dei mali esclusivi del nuovo millennio, come la diffusione dei virus informatici, degli IAD (internet addiction disorders), della pedopornografia e del cyberbullismo, della vendita di articoli illegali e pericolosi....Se di molti di questi pericoli ho già trattato sia online sia nei convegni da me tenuti, ora voglio mettervi a conoscenza di un rischio a cui si dà poca o nulla importanza: quello di delegare ogni nostro compito a una macchina (principalmente di tipo informatico, cioè un PC, uno smartphone o un tablet). Come visto sopra, oggi le multinazionali dell’informatica − al fine di incrementare i guadagni e mantenersi concorrenziali − immettono sul mercato prodotti che presentano via via più funzionalità e in grado di fare sempre più cose...a scapito della mente umana! Facendo un esempio semplicissimo come i calcoli aritmetici, se si prende la brutta abitudine di effettuare qualsiasi calcolo − anche il più banale − tramite la calcolatrice, mano a mano sarà sempre più difficoltoso fare dei calcoli a mente; un altro esempio è costituito dai contatti telefonici: se si fa troppo affidamento sulla rubrica del proprio telefono − rinunziando a tenere a mente anche i numeri più importanti − si finirà per scordarli e, qualora il cellulare dovesse non funzionare (ad esempio perchè rotto, smarrito, rubato o − evenienza comunissima oggigiorno − scarico), si finirà con il non essere più in grado di chiamare alcun numero, nemmeno in caso di emergenza. Il fenomeno esemplificato poc’anzi è spiegabile a livello di plasticità cerebrale: le connessioni sinaptiche che non vengono sollecitate per molto tempo finiranno per sciogliersi e dunque sarà molto difficoltoso − se non impossibile − (ri)fare certe cose che non si fanno da molto tempo, e che pertanto andrebbero obbligatoriamente riapprese. Ma all’evenienza che la tecnologia ci “lasci nei guai” non si pensa quasi mai: non è infatti interesse delle multinazionali dell’informatica, nè delle imponenti campagne pubblicitarie da queste poste in atto, descrivere (anche) i limiti dei loro prodotti. Tutto ciò porta inevitabilmente a un effetto paradosso: spesso, quanto più la tecnologia è avanzata, tanto più è invalidante. Facciamo l’esempio degli antivirus, i cui produttori sono alle prese con un mercato saturo e ipercompetitivo: la gran parte degli stessi è descritta con toni enfatici, epici e altisonanti, come “la miglior suite antivirus di sempre”, con cui poter “navigare sul web nella più totale tranquillità”. Il messaggio è chiaro: fate quello che vi pare su internet − anche le cose più pericolose e senza cervello − perchè tanto ci pensa il super antivirus X Y a tutelarvi da ogni sorta di virus, trojan, backdoor, spyware, adware e chi più ne ha più ne metta. In tal modo si invita indirettamente l’utente a delegare la propria sicurezza informatica a un software (cioè alla “macchina”), andando paradossalmente ad aumentare il rischio potenziale di imbattersi in minacce informatiche: se infatti un utente fosse consapevole che qualunque antivirus, persino il migliore, non essendo perfetto potrebbe anche non rilevare alcuni malware, arriverebbe all’inevitabile (e corretta) conclusione che il primo antivirus è la propria mente. Dunque, pensare di non aprire allegati da mail sospette, evitare di visitare siti potenzialmente pericolosi, tenere costantemente aggiornato il proprio device.... Ora non sto asserendo che l’antivirus non serva, ma prima di tutto viene la mente, quella umana, per il semplice fatto che le macchine non ne sono in possesso e non ne saranno mai. É impensabile asserire che le macchine possano in futuro arrivare ad eguagliare o addirittura superare le performance umane, e ciò è confermato dal fatto che l’uomo − non essendo Dio − non è mai riuscito a creare una copia di se stesso sotto forma di macchina, nemmeno con l’ausilio delle notevoli innovazioni della scienza e della tecnica che sono disponibili al giorno d’oggi. Chi sostiene il contrario (cioè principalmente le già citate multinazionali) è pienamente consapevole di mentire, ma lo fa per meri fini di marketing, con l’obiettivo di esaltare ed osannare le caratteristiche e funzionalità dell’ultimo prodotto posto sul mercato. E chi sono i consumatori più colpiti da tale propaganda mediatica? Chi è nato con questo tipo di tecnologia, da cui ora è assuefatto: la generazione Z. Al giorno d’oggi ci sono fin troppi giovani i quali hanno instaurato un rapporto malsano con la tecnologia: non uno di utilità, ma di dipendenza, di schiavitù. E, come al solito, la scuola è in gran parte estranea a questo malessere in cui oggi versano i giovani, notandone le conseguenze più che altro sul solo piano didattico. Ma se un alunno non riesce, ad esempio, a scrivere correttamente un tema (poichè il linguaggio a cui è abituato − cioè quello delle chat − è molto diverso da quello di un elaborato scolastico), l’insegnante non dovrebbe limitarsi a dare un cattivo voto, ma dovrebbe tenere delle lezioni sul corretto e sano uso della tecnologia, mettendo in risalto non solo le opportunità che la stessa offre (di cui i giovani sono tipicamente consapevoli), ma anche e soprattutto i limiti e i risvolti negativi su cui porre attenzione, dato che ne sono pur sempre parte integrante. E sono anche in continuo aumento. É notizia recente la frode informatica di dati personali (principalmente indirizzi email e password) più grande della storia di internet, con circa 22 milioni di vittime in tutto il mondo, a cui ha fatto subito seguito l’appello di numerose ditte informatiche di utilizzare i loro programmi per creare un archivio sicuro in cui custodire le password personali e/o permettere di crearne altre più sicure con l’ausilio del software stesso. Una domanda sorge però spontanea: se gli hacker sono riusciti a carpire password persino da giganti del web come Facebook o LinkedIn, non saranno anche in grado di fare lo stesso con questi “archivi protetti”? Forse è meglio far affidamento sulla nostra memoria: è molto meno pubblicizzata e fuori moda, ma in compenso tanto più sicura ed affidabile.

IL ROTARY A ROSETO PER LA SETTIMANA DEL CERVELLO

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La Settimana del Cervello (Brain Awareness Week) è un’iniziativa a livello nazionale tesa a promuovere l’informazione relativa alla psicologia, alla medicina e alle neuroscienze, coinvolgendo attivamente le istituzioni e rendendo partecipe la cittadinanza delle relative conoscenze scientifiche a riguardo. Sette giorni, dunque, naturalmente ricchi di appuntamenti culturali come convegni, mostre, corsi, spettacoli...tutti nel segno della scienza. “E a chi, più del Rotary International, può stare a cuore la divulgazione scientifica?” si chiede il prof. Antonio Lera, docente dell’Università degli studi dell’Aquila e neurologo dirigente medico dell’ASL, nonchè presidente del Rotary Club Teramo Est e dell’associazione culturale ἀγάπη - Caffè letterari d’Italia e d’Europa, “Il Rotary” − prosegue Lera − “ha da sempre dato largo spazio alla scienza nelle sue numerose iniziative, prediligendo pur tuttavia un linguaggio il più possibile semplice e diretto, al fine di essere compreso da qualsiasi pubblico. E in occasione della Settimana del Cervello potevamo forse fare eccezione?! Certo che no! Questa settimana abbiamo già organizzato il convegno sulla diagnosi precoce del deterioramento cognitivo, la neurobiologia dell’invecchiamento cerebrale e lo screening per l’invecchiamento mentale al Palazzo del Mare di Roseto degli Abruzzi, a cui è seguito − a Teramo − lo screening gratuito per la memoria e i deficit cognitivi”. “Ma non è finita qui” − esordisce il dott. Eugenio Flajani Galli, psicologo, psicosessuologo e scrittore giuliese − “la Settimana del Cervello per il Rotary, poichè domenica abbiamo in programma di chiudere questa densa sette giorni di appuntamenti socio-culturali con un convegno su mente, cervello e neuroplasticità cerebrale, in cui io e il prof. Lera tratteremo − supportati da altri nostri amici e colleghi − in maniera esaustiva di temi quali la prevenzione dell’invecchiamento, la resilienza e l’assertività, il rilassamento psicosomatico, il rapporto mente-macchina, la prevenzione dell’invecchiamento e la stimolazione cognitiva...tutti temi di attualità e grande rilevanza nella società odierna, che pertanto non possono assolutamente mancare nella Settimana del Cervello, a cui abbiamo dedicato così tanti eventi e un grande entusiasmo”. E oltre alle neuroscienze, alla psicologia e alle scienze cognitive, il convegno darà spazio anche alla sana alimentazione e al come prevenire i processi ossidativi in atto nelle cellule del nostro organismo: questo sarà il tema trattato dalla dott.ssa Simona Ruggieri, che servirà da monito per ricordarci il detto mens sana in corpore sano, e dunque della necessità di trattare (anche) la sfera della salute in aggiunta a quella della mente da parte degli altri relatori sopracitati. Ma non finisce qui: il grande evento, fissato per domenica nella suggestiva cornice del Palazzo del Mare di Roseto degli Abruzzi a partire dalle ore 10.30 AM, non vedrà protagonista la sola scienza, ma anche la letteratura e, in particolar modo, la poesia. Sarà infatti ospite speciale del Rotary International il pluripremiato scrittore e critico letterario campano naturalizzato abruzzese Mario De Bonis, già insignito del prestigioso premio “Gianni Di Venanzo”, uno tra i più grandi studiosi in Italia di Eduardo De Filippo (che ha conosciuto personalmente e sul quale ha anche scritto il libro “Eduardo visto da vicino”), che reciterà le sue poesie dando vita a illuminanti intervalli poetici. Infine, verranno esposte nel Palazzo del Mare le opere artistiche in tela e in pietra delle pittrici e scultrici Carmen Bernal e Sandra Di Marcantonio. Quest’ultima, in particolare, è anche scrittrice e ha partorito opere surrealistiche − ispirate a Salvador Dalì − da sempre molto ricercate sia in Italia sia all’estero, arrivando a essere presentate perfino dal noto critico d’arte Andrea Diprè.


L’ingresso al convegno è gratuito e sarà rilasciato un attestato di partecipazione a tutti i richiedenti.