domenica 29 settembre 2019

ANIMAZIONE DA PAURA: LETTURA PSICOPEDAGOGICA DEI CLASSICI DISNEY - parte 2

Eccoci giunti al punto di conoscere quale sarà il Classico di Walt Disney che, per tematiche e contenuti, si aggiudicherà il primo posto del podio nella classifica dei Classici più spaventosi della storia. Abbiamo passato in rassegna, nella prima parte di questo articolo, noti Classici di Walt Disney che hanno terrorizzato generazioni di bambini di ogni parte del mondo: La carica dei 101, Biancaneve e i sette nani, Pinocchio e Bambi erano i titoli già esaminati precedentemente, ma nessuno si è rivelato così angosciante come quello che vedrete tra pochissimo. Ecco dunque a voi il Classico Disney più terrificante di tutti:

1) FANTASIA (1940)

Non ve l’aspettavate? Eppure Fantasia è un po’ l’emblema di ogni film d’animazione di Walt Disney, anzi, forse l’emblema dell’intero cinema d’animazione. Ma è allo stesso tempo un emblema di paura, di angoscia per tutti quei bambini (ed ex bambini) che l’hanno visto, almeno una volta nella vita. Quando uscì in sala correvano i tempi della guerra peggiore della storia dell’umanità, di conseguenza è plausibile aspettarsi una non eccessiva allegria dal cinematografo di quel dato momento storico, eppure l’intrinseca poliedricità di Fantasia − complice la sua struttura ad episodi − sta proprio nel regalare sia momenti allegri (ad esempio quelli visionabili durante La danza delle ore oppure durante La pastorale di Ludwig Van Beethoven ambientata sull’Olimpo) sia altri raccapriccianti.
Partiamo dall’episodio di Topolino apprendista stregone: la storia è nota a tutti, con il beniamino di Walt Disney che, trasgredendo alle regole imposte dallo stregone suo mentore, realizza un incantesimo in cui le scope allagano la stanza ove era presente anche Topolino, il quale rischia perfino di annegare, ma si salverà proprio grazie all’intervento provvidenziale dello stregone. Già di per sè una scenetta così angosciante non è per niente bella da vedere per un bambino, ma può essere anche peggiore da un punto di vista psico-pedagogico: il bimbo-spettatore può infatti apprendere da questo episodio che non è bene fare qualcosa da solo, mentre invece è il caso di affidarsi sempre e necessariamente alla figura dell’adulto, pena il mettersi seriamente in pericolo, rischiando perfino la vita. Ciò però va a cozzare duramente contro il dovuto processo di formazione di un senso di responsabilità e di autodeterminazione, cosa che avviene anche e soprattutto sperimentando autonomamente le tante novità che la vita pone dinanzi a un bambino, e non affidandosi sempre e comunque a un adulto a cui delegare ogni cosa da fare. In questo modo un bambino non crescerà mai, e la morale di tale episodio di Fantasia può essere proprio questa: non crescere mai, ma rimanere sempre bambini piccoli e far fare tutto quanto all’adulto di turno, pena il correre inevitabili e gravi rischi.
D’altra parte gli autori di Fantasia non erano nè psicologi nè pedagogisti, e di conseguenza potevano non aver capito le conseguenze psico-pedagogiche della morale di Topolino apprendista stregone, però potevano avere quantomeno il buon senso di non presentare scene indubbiamente di cattivo gusto per un bambino, ad esempio nell’episodio dedicato ai dinosauri: qui, in realtà, il presentare per la prima volta sul grande schermo questi strani animali poteva avere anche una funzione didattica. Effettivamente i dinosauri sono rappresentati bene per essere un film d’animazione destinato a famiglie, o almeno quanto basta per le conoscenze dell’epoca e per i livelli attenzionali di un bambino, ma certe scene sono esagerate: pensiamo al combattimento tra il tirannosauro e lo stegosauro, connotato da una parossistica violenza animalesca, molto cruda e accentuata, che più che eccitare un bambino lo spaventa (e ne è la riprova il soffermarsi dell’inquadratura sul primo piano del muso dello stegosauro oramai senza vita). Sorvoliamo anche su questa scena, magari era stata realizzata anche per poter illustrare al giovane spettatore che i dinosauri combattevano e cacciavano, e dunque che alcuni erano predatori e altri prede, pertanto tale siparietto potrebbe avere un suo perchè da un punto di vista prettamente didattico. Ma la scena successiva decisamente no. Tanto per concludere l’episodio dei dinosauri, la Walt Disney pensa bene di sbatterli via dallo schermo raccontandoci della loro estinzione: a questo punto si vede che la Terra diventa via via sempre più arida, e i dinosauri devono abbeverarsi in pozzanghere che si fanno ogniqualvolta più piccole, e a poco a poco cadono tutti a terra morenti, stremati dagli stenti e dalla sete, fino a diventare niente più che carcasse, e quindi scheletri e ossa sparse. Insomma, arrivano a diventare quello che per noi uomini sono oggi i dinosauri, come li possiamo ammirare nei musei o nei libri di testo. E così la Walt Disney ci regala l’ennesima scena apocalittica e straziante in un film di animazione...per giunta nemmeno didattica. Infatti, nonostante anche al giorno d’oggi non si sappia con chiarezza come si siano estinti i dinosauri, le tesi più accreditate vedono la loro estinzione come dovuta allo schianto di un meteorite sulla Terra, ma anche a cambiamenti climatici molto vasti, e probabilmente perfino a una serie di catastrofici terremoti ed eruzioni vulcaniche. Probabilmente la causa non è una, bensì si tratterebbe di concause susseguite nel corso dei secoli e/o dei millenni, ma la storia della mancanza d’acqua è quanto di più assurdo si possa raccontare. Oggigiorno, a causa dei frequenti sprechi, dell’aumento della popolazione e del surriscaldamento globale − tutti avvenimenti recentissime dal punto di vista storico − l’acqua potabile è sicuramente molta di meno rispetto al passato, e con elevata probabilità i dinosauri ne potevano avere assai di più a disposizione rispetto a noi! Certo, le conoscenze dell’epoca non potevano essere elevate come quelle odierne, però è estremamente errato da un punto di vista didattico esporre una storia puramente inventata come se fosse realmente accaduta, andando a saturare di conoscenze storico-naturalistiche errate il bagaglio culturale di un bambino.
Ma non è finita qui, perchè Fantasia ci riserva, sul finale, un’altra perla di vero e proprio disagio psichico per un bambino, molto probabilmente la più elevata in assoluto: si tratta di Una notte sul Monte Calvo. Da quello che si capisce dalla sparuta trama, su questo monte maledetto ogni notte il demone Chernobog (tra l’altro inquietante già dal nome, che sa tanto di Chernobyl) si diverte a evocare altri demoni, fantasmi e altre non meglio identificate creature raccapriccianti dell’oltretomba, tutte figurine che per un adulto possono o fare schifo o far ridere, ma a un bambino appaiono oltremodo terrificanti, forse anche a causa del fatto che saltellano, svolazzano e si muovono deformandosi e piegandosi su se stesse, mettendo su un vero e proprio teatrino dell’orrore. Come se non bastasse, tutto ciò è reso ancora più inquietante dal fatto che alle pendici di questo monte c’è anche una cittadina, dunque un bambino che abita nei pressi o alle pendici di qualche montagna o collina potrebbe pure immaginare che quello sia il ritrovo di qualche altra riunione di demoni, che allegramente fanno i loro party, i loro rave, e chissà poi quale altra cosa mostruosa. Ma il fatto più grave di questo episodio è, come quello dei dinosauri, proprio l’epilogo: una volta arrivata l’alba si odono infatti dei rintocchi di campana, che piano piano scacciano via le creature mostruose e fanno mettere a nanna il buon Chernobog il quale, essendo stato in piedi tutta la notte, avrà obiettivamente sonno e dunque decide − pur riluttante − di non proseguire per un after party (anche perchè si trova su un monte sfigato e non a Ibiza), bensì di fare la ninna come la campana gli suggerisce. Quindi, la campana, ovvero un mezzo di Dio, di per sè può essere paragonata al canto del gallo, cioè un modo per segnalare a Chernobog che si è fatta la mattina e quindi che è ora di dormire, dopo tutti gli schiamazzi fatti la notte prima. Al limite, se proprio si vuole optare sulla spiegazione che Dio scaccia via i demoni per via delle campane − che stanno a simboleggiare la religione − ci si dovrebbe interrogare sul perchè l’effetto sia così blando. Per un bambino non può essere rassicurante che contro un demonio Dio e la religione possono tutt’al più metterlo a fare la nanna per qualche ora: in tal modo il male, il diavolo, continua ad esistere e ad essere presente, sotto forma di tangibile minaccia che ogni notte può animarsi e fare ciò che vuole. Non è un caso se già al cinema Fantasia avesse spaventato tantissimi bambini, i quali avevano sofferto persino di incubi nel vedere questo film.

Ora, con questo articolo non voglio sostenere che tutti i film di animazione prodotti dalla Walt Disney siano nocivi o di cattivo gusto, d’altra parte hanno fatto compagnia a generazioni intere di bambini, prima ancora dell’avvento della Pixar e quindi di tutti quei film d’animazione computerizzata. Si trattava di altri tempi, in cui al bambino veniva dato molto meno spazio e molte meno attenzioni rispetto ad ora. Oltretutto c’erano molti più bambini, e la società non si poneva tanti problemi nei loro riguardi: anche se qualcuno avesse sviluppato qualche forma di psicopatologia a causa della visione di qualche film di cattivo gusto, ce ne erano pur sempre tanti altri.... Oggigiorno, invece, con il concetto di benessere infantile la società è drasticamente cambiata nel suo modo di vedere i bambini e le loro esigenze: film d’animazione con scene così raccapriccianti non sono stati più prodotti ultimamente. Ma come comportarsi con quelli già usciti e divenuti a tutti gli effetti dei “classici”? Se ci sono scene che possono spaventare il bambino, è decisamente errato per un genitore deridere il figlio solo perchè si spaventa, dovrebbe più che altro comprenderlo e rassicurarlo, evitare di riproporgli certe scene, ma anche ridicolizzarle e riproporle in termini satirici (come nelle parodie tipo Scary Movie) può essere utile. D’altra parte, nell’era di Netflix e dei canali tematici per bambini vi sono così tanti film adatti per loro che il fargli visionare proprio alcuni che li potrebbero potenzialmente spaventare si rivela in fin dei conti superfluo. Al limite, se proprio si vogliono proporre simili film, il suggerimento è di farli visionare solamente a bambini grandi (dai 10 anni compiuti in su), che obiettivamente si dovrebbero spaventare molto meno rispetto a quelli più piccoli. E infine, per quanto riguarda i film ad episodi, come Fantasia, la soluzione è semplice: basta selezionare quegli episodi più adatti alla visione dei bambini e lasciar perdere quelli che al contrario non lo sono.

ANIMAZIONE DA PAURA: LETTURA PSICOPEDAGOGICA DEI CLASSICI DISNEY - parte 1

I Classici Disney non sono film d’animazione come altri. Sono opere cinematografiche che hanno incantato l’infanzia (e non solo) di generazioni e generazioni di bambini, oggi divenuti adulti. Se da un lato si pensa a questi film con una buona dose di melanconia nostalgica (molto probabilmente dovuta al fatto che tali cartoni sono un po’ la metafora dell’infanzia), dall’altro non si tralasciano però i tanti momenti disforici, ovvero negativi per lo stato d’animo, che i Classici Disney hanno causato. E non si tratta solo di episodi tristi − magari dovuti al fatto che il film stesso, in sostanza, è triste (ad esempio Red e Toby nemici-amici) − ma addirittura fortemente angoscianti e dunque potenzialmente nocivi per il piccolo spettatore. Di Classici Disney che provocano paura − almeno in determinate scene − ve ne sono veramente tanti, ma in questo articolo ho deciso di raccogliere la top-5 di quelli più angoscianti, almeno per bambini (più o meno) piccoli:

5) LA CARICA DEI 101 (1961)

In generale, per i film d’animazione della Walt Disney vale una regola: quanto più sono recenti, tanto meno sono spaventosi e disturbanti per un bambino. Vuoi per il fatto che si va incontro a una società che assegna via via più importanza ai bambini, vuoi per il fatto che mano a mano ci si allontana dagli orrori della guerra, i film d’animazione della Disney dei primi anni ’60 non sono angoscianti come quelli degli anni ’30 o ’40, ma ciò non toglie che possano comunque fare paura. Ne La carica dei 101, l’antagonista Crudelia De Mon viene pubblicizzata e brandizzata dalla stessa Walt Disney come “la peggior cattiva Disney”, il che è tutto un programma. Ovviamente con il susseguirsi degli anni la Disney affina sempre più le sue potenzialità di marketing, e decide pertanto di bollare in questo modo la nota fan delle pellicce naturali, contribuendo da un lato ad aumentare la curiosità di visionare il film, dall’altro però a creare nei giovani spettatori delle aspettative aventi per oggetto che “Crudelia è quella più cattiva di tutte, perchè se la prende addirittura con dei cuccioli, che vuole uccidere e spellare giusto per apparire più bella e alla moda”. Dall’ottica di un adulto, Crudelia De Mon potrebbe sembrare anche una signora un tantino stramba − magari con qualche tendenza psichiatrica − ma sicuramente più da compatire che da avversare, per il semplice fatto che se la deve vedere con oltre 100 cani in una volta (e meglio non immaginare il cattivo odore che possono emanare, nè il casino e i danni che potrebbero fare tutti insieme), oltre ai relativi padroni e alle forze dell’ordine alle calcagna. Per non parlare, poi, di tutti gli altri cani venuti in soccorso della già ben nutrita orda dei 101, i quali nel film sono raffigurati come organizzati a livello di corpo paramilitare e con competenze tattico-investigative superiori a quelle dell’Interpol. A tutto ciò si vanno ad aggiungere due scagnozzi decerebrati, al cui confronto Franco e Ciccio sarebbero dei Premi Nobel. Ciononostante nel bambino che vede questa pellicola − specialmente se in possesso di qualche animale domestico − potrebbero crearsi copiosi timori di furti in casa, violenza, aggressione (la governante della famiglia di Pongo e Peggy viene aggredita da Gaspare e Orazio, che poi vanno a catturare i cuccioli), sequestro di persona (o di animale? Infatti in questo come in quasi tutti i Classici Disney il processo di umanizzazione degli animali porta a considerarli alla stregua di persone), oltre alla palese inefficacia delle forze dell’ordine, che nel film capiscono nettamente di meno dei cani. Meno male che la pellicola non è ambientata in Italia, altrimenti sarebbe apparsa come una palese barzelletta ai danni dell’Arma dei Carabinieri.

4) BAMBI (1943)

Come già accennato, i primi Classici di Walt Disney sono quelli più pericolosi per il benessere psichico dei bambini. E Bambi non si smentisce in questo. In tale film viene prima raffigurata la realtà bucolica e amena − quasi incantata − in cui vivono gli animali che abitano la foresta, con scene così mielose che suggerirebbero di primo acchito che la visione del cartone sia idonea anche (e soprattutto) a bambini decisamente molto piccoli, quasi in fasce. A un certo punto, però, l’eden in cui vive Bambi viene bruscamente interrotto dalla parentesi della caccia, che gli porta via ciò che di più importante aveva: sua mamma. Il proporre protagonisti orfani o personaggi che a un certo punto della trama perdono uno o più genitori sarà poi riciclato dalla Disney in molti altri cartoni (pensiamo ad esempio a Il Re Leone), ma ovviamente si tratta di una tematica molto al di sopra delle possibilità di un bambino, al quale non andrebbero mai e poi mai instillate preoccupazioni del tipo “ma se mamma muore? Cosa faccio se rimango da solo?”. Un film come Bambi obbliga dunque il bambino a confrontarsi con una tematica altamente angosciante e che, essendo appunto ben al di sopra delle sue possibilità esplicative e organizzative, generano nella sua mente dei sentimenti di debolezza e di incapacità. E chi l’avrebbe mai detto che un cerbiatto avrebbe potuto causare simili problemi?

3) PINOCCHIO (1940)

La storia del burattino più famoso al mondo, prima di essere stata riproposta come film dalla Walt Disney, è stata una allegra fiaba nata dalla penna di Carlo Collodi. Ciò però non giustifica assolutamente le diverse scene disturbanti scaturite dalla fantasia del celebre scrittore italiano: infatti, se sono solamente descritte e non raffigurate, le stesse non possono spaventare più di tanto (ne è la riprova che quando lessi Pinocchio, all’età di 8 anni, non ebbi nessuna esperienza negativa a riguardo). Il problema si presenta allorchè ciò che viene descritto sulla carta finisce sullo schermo, e così si ha il personaggio del perfido Mangiafuoco, il quale distruggendo i burattini che non gli servono più diviene la metafora di un pedofilo o di un serial killer, un personaggio in cui un bambino (benchè nelle vesti di burattino) quale è Pinocchio può imbattersi come se niente fosse e che dunque può far nascere nel piccolo spettatore il timore di essere sequestrato e maltrattato da uno sconosciuto. E non è solo Mangiafuoco a incutere terrore nel bambino in un film che fa della metamorfosi il suo topic. É proprio la trasformazione di Pinocchio a far intimorire il bambino: la fatina (che in realtà può essere considerata anche un personaggio estremamente negativo) che gli deturpa il volto, facendogli deformare il naso che si allunga a dismisura, così come il Paese dei Balocchi − in cui Pinocchio si trasforma in un asino − sono i ricordi più strazianti che può avere un bambino dalla visione di questo film. Dei ricordi ancor più spaventosi se pensiamo al fatto che il corpo del bambino è di sua natura in continuo mutamento, e su ciò non c’è nulla da dire poichè trattasi di un processo del tutto naturale e biologico, dato dal fatto che con il tempo si cresce e il corpo cambia. Ma il problema nasce dal fatto che nessuno di noi può conoscere il futuro, pertanto il bambino non può sapere come diventerà crescendo, non può conoscere la forma del corpo che avrà una volta cresciuto, ma ovviamente sa che il suo corpo è soggetto e destinato al mutamento. Questo processo di mutamento, reso incerto per il semplice fatto che il futuro stesso è ignoto e incerto, è già di per sè piuttosto disturbante per un bambino; se poi ci mettiamo anche la visione di un altro bambino (e Pinocchio, per come viene raffigurato, anche da burattino sembra a tutti gli effetti un bimbo come tutti gli altri) che muta il suo corpo...deformandosi, allora è ovvio che il giovane spettatore possa immaginare il cambiamento corporeo come estremamente negativo.

2) BIANCANEVE E I SETTE NANI (1937)

Sul gradino intermedio del podio troviamo il primo vero e proprio film d’animazione della storia del cinema, cosa che rende intuibile i molti paradossi presenti nella pellicola, primo tra tutti il fatto che i bambini-spettatori siano da un lato concepiti come così candidi e ingenui da accettare di buon grado che una donna conviva con sette uomini a lei ignoti, i quali a loro volta convivono allegramente tutti insieme nella stessa dimora, e perdipiù con Biancaneve instaurino esclusivamente dei rapporti di tipo amicale, quasi fosse una sorella per loro. Ma oltre che con i nani, Biancaneve ha dei rapporti − ovviamente sempre di natura amicale e fraterna, non altro, per carità − anche con la fauna che si aggira nei dintorni della loro casina, il che contribuisce pesantemente a creare un’atmosfera del tutto bucolica (che richiama per certi versi Heidi) che va a cozzare con il personaggio della strega cattiva (Grimilde). Ma più che “strega cattiva” sarebbe da ribattezzare “strega brutta e cattiva”, poichè i disegnatori l’hanno rappresentata così repellente che al confronto Crudelia De Mon potrebbe sembrare Miss America. E non è soltanto l’aspetto fisico della strega che può far spaventare non poco i bambini, ma anche e soprattutto il suo comportamento: in una scena, in particolare, la strega si sofferma su un suo prigioniero − oramai ridotto a scheletro − che si evince sia deceduto a causa della mancanza di acqua e viveri, tant’è che la strega, nello sfottere il malcapitato oramai ridotto a salma, gli butta nelle vicinanze una ciotola con un po’ d’acqua esclamando: “Volevi bere?! Ecco qui la tua acqua!”. Insomma, soprusi che non si sono visti nemmeno nei peggiori lager di Schindler’s List. Agli occhi di un bambino attuale la strega di Biancaneve potrebbe sembrare più che altro una militante dell’ISIS, ma per la Walt Disney degli anni ’30 non c’erano tanti problemi a mettere un bambino nelle condizioni di assistere a tali spettacoli orribili. Resta però la contraddizione che il film sia stato in certi punti realizzato come bucolico e (fin troppo) fiabesco, lasciando intendere che lo spettatore ideale sia un bambino candido e ingenuo, e in altri realizzato sulla stessa linea di una tragedia di Euripide − e avendo letto tutte le tragedie greche, scrivo “di Euripide”, poichè quelle di Eschilo e Sofocle in confronto sono spesso meno terrificanti di Biancaneve e i sette nani − e pertanto lasciando intendere che lo spettatore ideale sia un bimbo di ritorno, quantomeno, da qualche mese di soggiorno in un campo di concentramento.