mercoledì 23 ottobre 2019

SOLDI, FAMA E DISVALORI: ECCO LE NUOVE POPSTAR CHE ASCOLTANO I NOSTRI FIGLI

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA FARE CULTURA,  ACCORDO E ANANKE NEWS.

La strada per la fama e il successo è una di quelle strade tra le più aspre e difficoltose, che solo pochissime persone al mondo riescono a percorrere fino in fondo. E quando si arriva a destinazione, non è detto che sia stato un bene l’averla intrapresa
In ogni caso la fame di fama, per usare un gioco di parole, è oggi viva più che mai, e per raggiungerla si utilizza qualunque mezzo, non escluso quello di apparire come cattivo esempio alle nuove generazioni, pur di essere conosciuti e apprezzati. Da Miley Cyrus che fuma marijuana in diretta TV agli MTV Ema Awards (Huffington Post, 22-1-2019), ad Ariana Grande che sculetta allegramente a quattro zampe e intona: “Mi piace, lo voglio, lo prendo” (Il Fatto Quotidiano, 16-9-2019). Renato Pozzetto esclamerebbe: “Eh la Madonna!”. E sì, c’è anche Madonna, arrivata al suo concerto con 3 ore di ritardo e salita sul palco ubriaca fradicia (Today, 20-1-2016). Sono solo una manciata delle innumerevoli esibizioni “originali” delle più celebri popstar dei nostri giorni. Ah, ovviamente ce n’è anche qualcuna di un’altra era ad esempio Madonna evidentemente in preda a crisi di mezza età e conseguente desiderio di apparire moderna e disinibita al pari delle odierne teen popstar. Ma al di là di qualche isolata popstar del passato, oramai quasi caduta nel dimenticatoio, quel che è più preoccupante è come siano le NUOVE generazioni di popstar a imporsi e comunicare alle nuove generazioni di amanti della musica. É noto che produrre brani carini e che possano piacere sia per la melodia sia per le parti cantate non è sufficiente per poter raggiungere la tanto agognata fama, bensì è necessario anche (e soprattutto) farsi notare. Ma se ci si fa notare per cause positive e apparendo come brave ragazze o bravi ragazzi si finisce nel paradosso di essere bollati alla stregua di personaggi noiosi, piatti e conformisti; al contrario se si appare come ribelli, selvaggi, anti-establishment e cattivi ragazzi o cattive ragazze, allora in tal caso si acquista più carisma e dunque più fama. Prendiamo proprio due tra le più celebri popstar di oggi come esempio: Ariana Grande (che di “grande” ha però pochissimo, essendo alta come una bambina di 10 anni) e Miley Cyrus, l’ex reginetta della Walt Disney che fuma più di Bob Marley, Wiz Khalifa e Snoop Dogg messi insieme. Sono entrambe delle cantanti senza oggettive doti canore di rilievo, tant’è che la prima ha vinto 2 soli Grammy Award e la seconda nemmeno mezzo. Un numero bassissimo pensando che si tratta di cantanti con svariate decine di milioni di fan sui social e miliardi di visualizzazioni su YouTube alle loro canzoni più importanti. Tanto per intenderci, se facciamo il parallelo con una leggenda della musica come Bruce Springsteen, possiamo notare che questi ha ottenuto addirittura una ventina di Grammy. A questo punto potremmo dedurne che si tratta di cantanti le quali, non potendo farsi notare per la loro bravura in quanto artiste, devono per forza farsi notare in altro modo, ovvero dando cattivi esempi alle nuove generazioni. E se si parla alle nuove generazioni, questo gioco è facile: basta fare le disinibite, le ribelli che pongono in atto ciò che è vietato e/o è avversato dalla maggior parte della società civile...tutte cose che strizzano l’occhio ai giovani che si trovano nella fase della vita in cui provano dei sentimenti di ribellione contro i genitori, la scuola, la società in generale e così via. Paradossalmente si tratta di VIP che rappresentano cattivi esempi e proprio per tale ragione sono considerati da seguire. Tutto ciò lo sanno bene i vari manager dei nuovi “bad guys” o delle nuove “bad girls” (a riguardo è esemplare Rihanna, che su Instagram si è data il nickname “BadGalRiri”, cioè “Riri, la cattiva ragazza”), che non perdono l’occasione di incitare le popstar di oggi a mettersi in mostra in tal modo, proprio al fine di incrementare notorietà e (dunque) guadagni. Ma lo sanno bene anche gli organizzatori dei tanti eventi − in particolar modo festival − che pertanto colgono la palla al balzo e cercano di accaparrarsi tali popstar al fine di vendere più biglietti possibili. D’altra parte stiamo pur sempre prendendo in considerazione star che hanno decine di milioni di follower sui social, al contrario di quanto invece accade per molti cantanti più “impegnati” e acclamati dalla critica, che spesso e volentieri ne hanno moltissimi di meno. Riprendendo in considerazione Bruce Springsteen, si può notare che egli ha solo un milione e mezzo di follower su Instagram, al contrario dei 380 di Ariana Grande o dei 215 di Miley Cyrus. Tutto ciò ci porta a questa conclusione: tipicamente i cantanti più seguiti dai giovani non hanno necessariamente un grande talento e, spesso, sono più famosi per fatti di cronaca e gossip o perchè si impongono come influencer. Oltretutto, alcuni noti cantanti di oggi sono in primo luogo degli influencer i quali si sono dati alla musica e sono poi divenuti delle popstar poichè hanno saputo diffondere e pubblicizzare bene i loro brani, facendo leva anche (e soprattutto) sulla vasta schiera di follower a loro disposizione per farli diventare virali. Un esempio lampante è il rapper Lil Nas X, già noto influencer tratto caratteristico che si ripercuote anche sulle sue performance dal vivo che si è riuscito a imporre in ambito musicale per aver composto la hit Old Town Road, che è stato in grado di lanciare proprio grazie al supporto fondamentale della sua base social. E pare che al giorno d’oggi la strada maestra per imporsi musicalmente sia proprio quella di essere in grado di produrre hit virali. Magari anche con l’aiutino di temi che strizzano l’occhio alla generazione Z. Non è un caso se la trap, con contenuti così spiccatamente connessi a sesso, droga, violenza e altri disvalori sia praticamente il genere di maggior successo tra i giovani. Ma d’altra parte i grandi critici musicali potrebbero mai parlare a favore di chi canta brani dal simile contenuto, oppure di chi si fa ritrarre perfino in pubblico e perfino dinanzi a milioni e milioni di telespettatori con una canna in mano?! Certo che no! A ogni modo, benchè ci siano pure delle eccezioni alla regola, ciò che sta succedendo al giorno d’oggi è che le nuove generazioni antepongono la quantità alla qualità e seguono un tale VIP più per un fatto che è famoso in sè che per il fatto che sia o meno degno di essere seguito (in tutti i sensi). D’altra parte per un ragazzo è una questione di sicurezza: se sono fan di un cantante famosissimo, amato e conosciuto da centinaia di milioni di altri ragazzi, allora posso essere ben visto e ben accettato; se al contrario sono fan di un cantante più di nicchia, “underground”, di conseguenza sarebbe più difficile farsi accettare. Allo stesso modo, se mi reco ad un festival ove si esibisce come headliner (cioè come artista principale) un cantante i cui brani su YouTube e Spotify sono stati riprodotti da miliardi di persone, è molto più probabile che se faccio foto e video e poi li posto, questi ottengano tantissimi like, reactions, commenti, visualizzazioni e condivisioni in più rispetto al caso in cui mi sia recato a vedere un cantante di nicchia (magari perchè impegnato) e dunque fatto e postato le relative foto e i relativi video. Triste ma vero. E l’ho anche constatato di persona a Budapest: infatti, essendomi recato allo Sziget (un famosissimo festival artistico-culturale della durata di una settimana) ho poi letto i giornali che ne trattavano e dunque sono venuto a conoscenza del fatto che il giorno in cui c’era meno gente era quello in cui l’headliner era Kendrick Lamar pluripremiato rapper con alle spalle 14 Grammy, nonchè unico rapper ad aver mai vinto prima d’ora il premio Pulitzer e ciò pertanto la dice lunga sul fatto che la gente preferisce la quantità alla qualità. Ne è la riprova che il giorno in cui c’era più gente è stato invece quello che vedeva come headliner Shawn Mendes l’ennesimo cantante pop dell’ultima ora, molto amato dai giovanissimi, non a torto definito “il nuovo Justin Bieber”− e pertanto il festival era a dir poco stracolmo di famiglie con ragazzini (o bambini?) al seguito, dell’età media di 14/15 anni. Ed ecco perchè queste nuove popstar riempiono i festival: avendo una fanbase di ragazzini (ma anche proprio bambini), ne conviene che questi debbano per forza essere accompagnati, poichè non potrebbero entrare ai festival da soli. E chi li accompagna se non mamma e papà? Infatti sono proprio loro ad accompagnarli, pagando necessariamente il biglietto d’ingresso benchè possa pure importargli meno del nulla di provare l’ebbrezza di assistere a un concerto di cantanti a loro sconosciuti che si esibiscono dinanzi a una pletora di ragazzini urlanti con lo smartphone in mano. E se ognuno di questi ragazzini portasse pure fratelli, sorelle o amici con relativi genitori, gli introiti salirebbero ancora di più. Puntare invece a far esibire a un festival artisti per ragazzi quantomeno maggiorenni potrebbe causare problemi interni all’evento stesso (i giovani lasciati senza genitori potrebbero ubriacarsi, fare uso di stupefacenti e dunque arrecare tutta una serie di danni che andrebbero dal vandalismo fino alle risse più gravi, passando per la necessità di essere soccorsi da personale medico e paramedico allorchè si sentono male), mentre invece puntare ad artisti più “storici” potrebbe comportare difficoltà di altro tipo: cantanti che hanno fatto la storia della musica e si esibiscono ancora come Bruce Springsteen, Bob Dylan, Roger Waters o i due Queen ancora in vita possono costare ben oltre il milione di dollari a concerto (pensiamo che attualmente la band in assoluto più costosa al mondo sono i Rolling Stones), ragion per cui i prezzi di ingresso potrebbero farsi proibitivi; inoltre un pubblico più adulto è necessariamente e giustamente più esigente: potrebbe pertanto infastidirsi se ci sono molte file, si aspetterebbe di mangiare e bere bene ed avere a disposizione un’adeguata area lounge in cui rilassarsi.... Allo stesso modo, avendo più esperienza alle spalle, potrebbe accorgersi di più di eventuali difetti dell’organizzazione (un palco non adeguatamente allestito, un impianto non all’altezza dell’evento, orari delle esibizioni non sempre rispettati...). Quindi in fin dei conti gli organizzatori dei grandi festival internazionali preferiscono generalmente piazzare come piatto principale proprio cantanti pop molto conosciuti e seguiti sui social, soprattutto dai giovanissimi. Indipendentemente da quanto essi siano effettivamente riconosciuti di valore dalla critica e indipendentemente dai valori e dagli esempi che essi possono veicolare alle nuove generazioni. Anzi, anche meglio se sono snobbati dalla critica e se danno cattivi esempi: così acquistano ancora di più la fama di ribelli e vengono apprezzati dai giovani, quegli stessi giovani che ricercano volutamente questo tipo di celebrità come esempio, perchè se invece si seguisse qualche cantante più impegnato si correrebbe il rischio di essere bollati dai propri pari come secchioni, dunque sfigati, dunque emarginati sociali, dunque elementi da escludere e/o bullizzare. E questo è un aspetto della società odierna che nessun genitore o insegnante dovrebbe ignorare, poichè ignorarlo equivarrebbe ad ignorare la giusta educazione dei giovani e il relativo giusto sistema etico e valoriale che gli stessi dovrebbero acquisire. Siccome però una tale influenza sociale negativa è posta in essere da personalità di spicco molto ben considerate dai minori − come delle star della musica, allora diventa più difficile per gli adulti farsi sentire nella loro mission educativa. Difficile, ma non impossibile. In tutto ciò, infatti, ci sono diverse soluzioni che potrebbe adottare un genitore laddove si accorgesse che un figlio stia seguendo dei cattivi esempi, benchè comunque ostentati da celebrità come quelle passate in rassegna fino ad ora. Più nello specifico, al fine di limitare l’influenza sociale negativa che i cattivi esempi dei social e dei mass media veicolano verso i giovani, gli adulti potrebbero (e dovrebbero) mettere in atto fondamentalmente tre strategie:

1. Istruire il proprio figlio a una reale cultura musicale. La maggior parte dei ragazzi che segue cantanti che danno cattivi esempi lo fa anche e soprattutto poichè non ha reali alternative: avendo una cultura musicale pari pressochè a zero, non si accorge che possono esserci molti altri artisti e generi differenti da seguire e a cui appassionarsi. In ciò è spesso complice la scuola, che fa educazione musicale tralasciando praticamente tutto il novecento e il nuovo millennio. Ma un genitore può benissimo fare le veci del docente, ad esempio trovando brani di altri artisti e di altri generi su YouTube e facendoli ascoltare al proprio figlio: blues, soul, jazz, gospel, country, folk, funky, experimental, world music...vi sono tantissimi generi tralasciati dal panorama musicale mainstream internazionale, non farli conoscere ai millennials vuol dire un po’ farli morire. E facendoli morire, si fa morire anche la cultura stessa. D’altra parte cos’è la cultura, in ambito musicale, se non venire a conoscenza di generi, brani ed autori/compositori che prima erano ignoti? Ovviamente generi, brani ed autori/compositori che possono poi piacere oppure no, ma prima di tutto occorre ascoltarli; solo dopo l’ascoltatore (ad esempio il figlio a cui si fanno ascoltare queste cose tramite YouTube) potrà esprimere un giudizio, non prima! Prima si ascoltano, poi se piacciono ok, sennò non fa niente...si passa a brani, generi e autori/compositori successivi!

2. Spiegare che apparire “critici” (!) verso la società, comportandosi in modo provocatorio, volgare, illegale e pericoloso veicolando così dei cattivi esempi per chiunque segua tali condotte ed atteggiamenti − non è di per sè la strada verso il successo. Ovviamente il giovane ribatterà che non può essere così perchè chi palesa tali condotte ed atteggiamenti sono VIP, persone di successo con tantissimi soldi, fan, eccetera, eccetera...però qui si commette un errore di pensiero: si chiama bias della disponibilità e consiste nel sovrastimare come probabili avvenimenti e situazioni dal grande impatto emotivo...che però non sono così frequenti come si potrebbe pensare! Si tratta solo di un brutto scherzo che ci giocano le nostre emozioni: ad esempio dato che il solo pensiero di diventare ricchi vincendo alle slot machine ci piace molto, allora lo teniamo anche più frequentemente nella nostra testa, tra i nostri pensieri, piuttosto che pensare che le probabilità reali di farcela sono pari allo zero virgola e non si sa quanti altri zeri dopo. Ciò accade poichè non siamo delle macchine, dei software, ed è normale che si ragioni più in termini emotivi che in altri statistici. Dunque sarebbe da controbattere bene che non vuol dire che se Ariana Grande è diventata una grande (statura esclusa) muovendo le natiche e intonando “Mi piace, lo voglio, lo prendo”, allora TUTTE le ragazze un po’ carine (e soprattutto svestite e provocanti) che fanno cose di questo genere, da caricare poi sui social, diventino famose. Occorre aprire gli occhi. Su Instagram e TikTok, ad esempio, ci sono tantissime belle ragazze che nonostante abbiano migliaia di follower hanno difficoltà a monetizzare i loro contenuti (di belle ragazze ce ne sono tante, di brand disposti a pagare bene per pubblicizzare i loro prodotti tramite le influencer molti di meno), e molte di loro hanno imitato questi “cattivi esempi” proprio illudendosi di poter diventare ricche e famose come loro. Illudendosi.

3. Insegnare ai figli quali sono i “cattivi esempi” e non abbandonarli in loro balia; impegnarli piuttosto in attività più utili e importanti. Molto spesso i ragazzi di oggi sono poco sorvegliati e lasciati a loro stessi. Magari ci sono anche famiglie in cui si parla poco e di cose poco importanti, pertanto è difficile per un ragazzo capire quali esempi sono da seguire e quali no. Ma dato che tali nozioni sono troppo importanti per essere degne di essere inserite nei programmi scolastici, sta alla discrezione del docente parlarne in classe o meno. Stando così le cose, è fondamentale per un genitore insegnare al proprio figlio quali sono gli esempi da seguire e quali quelli da evitare. Infatti vi sono sia esempi buoni sia altri negativi, e l’importante è capirne la differenza. A ogni buon conto, se ad esempio una ragazzina di 13 anni ha tanto, troppo tempo da dedicare ad Ariana Grande, Miley Cyrus, Billie Eilish, eccetera, vuol dire che evidentemente sta tralasciando attività a lei più importanti, prima tra tutte lo studio. Stanno dunque al genitore la responsabilità e il dovere di intervenire in tali casi.

domenica 29 settembre 2019

ANIMAZIONE DA PAURA: LETTURA PSICOPEDAGOGICA DEI CLASSICI DISNEY - parte 2

Eccoci giunti al punto di conoscere quale sarà il Classico di Walt Disney che, per tematiche e contenuti, si aggiudicherà il primo posto del podio nella classifica dei Classici più spaventosi della storia. Abbiamo passato in rassegna, nella prima parte di questo articolo, noti Classici di Walt Disney che hanno terrorizzato generazioni di bambini di ogni parte del mondo: La carica dei 101, Biancaneve e i sette nani, Pinocchio e Bambi erano i titoli già esaminati precedentemente, ma nessuno si è rivelato così angosciante come quello che vedrete tra pochissimo. Ecco dunque a voi il Classico Disney più terrificante di tutti:

1) FANTASIA (1940)

Non ve l’aspettavate? Eppure Fantasia è un po’ l’emblema di ogni film d’animazione di Walt Disney, anzi, forse l’emblema dell’intero cinema d’animazione. Ma è allo stesso tempo un emblema di paura, di angoscia per tutti quei bambini (ed ex bambini) che l’hanno visto, almeno una volta nella vita. Quando uscì in sala correvano i tempi della guerra peggiore della storia dell’umanità, di conseguenza è plausibile aspettarsi una non eccessiva allegria dal cinematografo di quel dato momento storico, eppure l’intrinseca poliedricità di Fantasia − complice la sua struttura ad episodi − sta proprio nel regalare sia momenti allegri (ad esempio quelli visionabili durante La danza delle ore oppure durante La pastorale di Ludwig Van Beethoven ambientata sull’Olimpo) sia altri raccapriccianti.
Partiamo dall’episodio di Topolino apprendista stregone: la storia è nota a tutti, con il beniamino di Walt Disney che, trasgredendo alle regole imposte dallo stregone suo mentore, realizza un incantesimo in cui le scope allagano la stanza ove era presente anche Topolino, il quale rischia perfino di annegare, ma si salverà proprio grazie all’intervento provvidenziale dello stregone. Già di per sè una scenetta così angosciante non è per niente bella da vedere per un bambino, ma può essere anche peggiore da un punto di vista psico-pedagogico: il bimbo-spettatore può infatti apprendere da questo episodio che non è bene fare qualcosa da solo, mentre invece è il caso di affidarsi sempre e necessariamente alla figura dell’adulto, pena il mettersi seriamente in pericolo, rischiando perfino la vita. Ciò però va a cozzare duramente contro il dovuto processo di formazione di un senso di responsabilità e di autodeterminazione, cosa che avviene anche e soprattutto sperimentando autonomamente le tante novità che la vita pone dinanzi a un bambino, e non affidandosi sempre e comunque a un adulto a cui delegare ogni cosa da fare. In questo modo un bambino non crescerà mai, e la morale di tale episodio di Fantasia può essere proprio questa: non crescere mai, ma rimanere sempre bambini piccoli e far fare tutto quanto all’adulto di turno, pena il correre inevitabili e gravi rischi.
D’altra parte gli autori di Fantasia non erano nè psicologi nè pedagogisti, e di conseguenza potevano non aver capito le conseguenze psico-pedagogiche della morale di Topolino apprendista stregone, però potevano avere quantomeno il buon senso di non presentare scene indubbiamente di cattivo gusto per un bambino, ad esempio nell’episodio dedicato ai dinosauri: qui, in realtà, il presentare per la prima volta sul grande schermo questi strani animali poteva avere anche una funzione didattica. Effettivamente i dinosauri sono rappresentati bene per essere un film d’animazione destinato a famiglie, o almeno quanto basta per le conoscenze dell’epoca e per i livelli attenzionali di un bambino, ma certe scene sono esagerate: pensiamo al combattimento tra il tirannosauro e lo stegosauro, connotato da una parossistica violenza animalesca, molto cruda e accentuata, che più che eccitare un bambino lo spaventa (e ne è la riprova il soffermarsi dell’inquadratura sul primo piano del muso dello stegosauro oramai senza vita). Sorvoliamo anche su questa scena, magari era stata realizzata anche per poter illustrare al giovane spettatore che i dinosauri combattevano e cacciavano, e dunque che alcuni erano predatori e altri prede, pertanto tale siparietto potrebbe avere un suo perchè da un punto di vista prettamente didattico. Ma la scena successiva decisamente no. Tanto per concludere l’episodio dei dinosauri, la Walt Disney pensa bene di sbatterli via dallo schermo raccontandoci della loro estinzione: a questo punto si vede che la Terra diventa via via sempre più arida, e i dinosauri devono abbeverarsi in pozzanghere che si fanno ogniqualvolta più piccole, e a poco a poco cadono tutti a terra morenti, stremati dagli stenti e dalla sete, fino a diventare niente più che carcasse, e quindi scheletri e ossa sparse. Insomma, arrivano a diventare quello che per noi uomini sono oggi i dinosauri, come li possiamo ammirare nei musei o nei libri di testo. E così la Walt Disney ci regala l’ennesima scena apocalittica e straziante in un film di animazione...per giunta nemmeno didattica. Infatti, nonostante anche al giorno d’oggi non si sappia con chiarezza come si siano estinti i dinosauri, le tesi più accreditate vedono la loro estinzione come dovuta allo schianto di un meteorite sulla Terra, ma anche a cambiamenti climatici molto vasti, e probabilmente perfino a una serie di catastrofici terremoti ed eruzioni vulcaniche. Probabilmente la causa non è una, bensì si tratterebbe di concause susseguite nel corso dei secoli e/o dei millenni, ma la storia della mancanza d’acqua è quanto di più assurdo si possa raccontare. Oggigiorno, a causa dei frequenti sprechi, dell’aumento della popolazione e del surriscaldamento globale − tutti avvenimenti recentissime dal punto di vista storico − l’acqua potabile è sicuramente molta di meno rispetto al passato, e con elevata probabilità i dinosauri ne potevano avere assai di più a disposizione rispetto a noi! Certo, le conoscenze dell’epoca non potevano essere elevate come quelle odierne, però è estremamente errato da un punto di vista didattico esporre una storia puramente inventata come se fosse realmente accaduta, andando a saturare di conoscenze storico-naturalistiche errate il bagaglio culturale di un bambino.
Ma non è finita qui, perchè Fantasia ci riserva, sul finale, un’altra perla di vero e proprio disagio psichico per un bambino, molto probabilmente la più elevata in assoluto: si tratta di Una notte sul Monte Calvo. Da quello che si capisce dalla sparuta trama, su questo monte maledetto ogni notte il demone Chernobog (tra l’altro inquietante già dal nome, che sa tanto di Chernobyl) si diverte a evocare altri demoni, fantasmi e altre non meglio identificate creature raccapriccianti dell’oltretomba, tutte figurine che per un adulto possono o fare schifo o far ridere, ma a un bambino appaiono oltremodo terrificanti, forse anche a causa del fatto che saltellano, svolazzano e si muovono deformandosi e piegandosi su se stesse, mettendo su un vero e proprio teatrino dell’orrore. Come se non bastasse, tutto ciò è reso ancora più inquietante dal fatto che alle pendici di questo monte c’è anche una cittadina, dunque un bambino che abita nei pressi o alle pendici di qualche montagna o collina potrebbe pure immaginare che quello sia il ritrovo di qualche altra riunione di demoni, che allegramente fanno i loro party, i loro rave, e chissà poi quale altra cosa mostruosa. Ma il fatto più grave di questo episodio è, come quello dei dinosauri, proprio l’epilogo: una volta arrivata l’alba si odono infatti dei rintocchi di campana, che piano piano scacciano via le creature mostruose e fanno mettere a nanna il buon Chernobog il quale, essendo stato in piedi tutta la notte, avrà obiettivamente sonno e dunque decide − pur riluttante − di non proseguire per un after party (anche perchè si trova su un monte sfigato e non a Ibiza), bensì di fare la ninna come la campana gli suggerisce. Quindi, la campana, ovvero un mezzo di Dio, di per sè può essere paragonata al canto del gallo, cioè un modo per segnalare a Chernobog che si è fatta la mattina e quindi che è ora di dormire, dopo tutti gli schiamazzi fatti la notte prima. Al limite, se proprio si vuole optare sulla spiegazione che Dio scaccia via i demoni per via delle campane − che stanno a simboleggiare la religione − ci si dovrebbe interrogare sul perchè l’effetto sia così blando. Per un bambino non può essere rassicurante che contro un demonio Dio e la religione possono tutt’al più metterlo a fare la nanna per qualche ora: in tal modo il male, il diavolo, continua ad esistere e ad essere presente, sotto forma di tangibile minaccia che ogni notte può animarsi e fare ciò che vuole. Non è un caso se già al cinema Fantasia avesse spaventato tantissimi bambini, i quali avevano sofferto persino di incubi nel vedere questo film.

Ora, con questo articolo non voglio sostenere che tutti i film di animazione prodotti dalla Walt Disney siano nocivi o di cattivo gusto, d’altra parte hanno fatto compagnia a generazioni intere di bambini, prima ancora dell’avvento della Pixar e quindi di tutti quei film d’animazione computerizzata. Si trattava di altri tempi, in cui al bambino veniva dato molto meno spazio e molte meno attenzioni rispetto ad ora. Oltretutto c’erano molti più bambini, e la società non si poneva tanti problemi nei loro riguardi: anche se qualcuno avesse sviluppato qualche forma di psicopatologia a causa della visione di qualche film di cattivo gusto, ce ne erano pur sempre tanti altri.... Oggigiorno, invece, con il concetto di benessere infantile la società è drasticamente cambiata nel suo modo di vedere i bambini e le loro esigenze: film d’animazione con scene così raccapriccianti non sono stati più prodotti ultimamente. Ma come comportarsi con quelli già usciti e divenuti a tutti gli effetti dei “classici”? Se ci sono scene che possono spaventare il bambino, è decisamente errato per un genitore deridere il figlio solo perchè si spaventa, dovrebbe più che altro comprenderlo e rassicurarlo, evitare di riproporgli certe scene, ma anche ridicolizzarle e riproporle in termini satirici (come nelle parodie tipo Scary Movie) può essere utile. D’altra parte, nell’era di Netflix e dei canali tematici per bambini vi sono così tanti film adatti per loro che il fargli visionare proprio alcuni che li potrebbero potenzialmente spaventare si rivela in fin dei conti superfluo. Al limite, se proprio si vogliono proporre simili film, il suggerimento è di farli visionare solamente a bambini grandi (dai 10 anni compiuti in su), che obiettivamente si dovrebbero spaventare molto meno rispetto a quelli più piccoli. E infine, per quanto riguarda i film ad episodi, come Fantasia, la soluzione è semplice: basta selezionare quegli episodi più adatti alla visione dei bambini e lasciar perdere quelli che al contrario non lo sono.

ANIMAZIONE DA PAURA: LETTURA PSICOPEDAGOGICA DEI CLASSICI DISNEY - parte 1

I Classici Disney non sono film d’animazione come altri. Sono opere cinematografiche che hanno incantato l’infanzia (e non solo) di generazioni e generazioni di bambini, oggi divenuti adulti. Se da un lato si pensa a questi film con una buona dose di melanconia nostalgica (molto probabilmente dovuta al fatto che tali cartoni sono un po’ la metafora dell’infanzia), dall’altro non si tralasciano però i tanti momenti disforici, ovvero negativi per lo stato d’animo, che i Classici Disney hanno causato. E non si tratta solo di episodi tristi − magari dovuti al fatto che il film stesso, in sostanza, è triste (ad esempio Red e Toby nemici-amici) − ma addirittura fortemente angoscianti e dunque potenzialmente nocivi per il piccolo spettatore. Di Classici Disney che provocano paura − almeno in determinate scene − ve ne sono veramente tanti, ma in questo articolo ho deciso di raccogliere la top-5 di quelli più angoscianti, almeno per bambini (più o meno) piccoli:

5) LA CARICA DEI 101 (1961)

In generale, per i film d’animazione della Walt Disney vale una regola: quanto più sono recenti, tanto meno sono spaventosi e disturbanti per un bambino. Vuoi per il fatto che si va incontro a una società che assegna via via più importanza ai bambini, vuoi per il fatto che mano a mano ci si allontana dagli orrori della guerra, i film d’animazione della Disney dei primi anni ’60 non sono angoscianti come quelli degli anni ’30 o ’40, ma ciò non toglie che possano comunque fare paura. Ne La carica dei 101, l’antagonista Crudelia De Mon viene pubblicizzata e brandizzata dalla stessa Walt Disney come “la peggior cattiva Disney”, il che è tutto un programma. Ovviamente con il susseguirsi degli anni la Disney affina sempre più le sue potenzialità di marketing, e decide pertanto di bollare in questo modo la nota fan delle pellicce naturali, contribuendo da un lato ad aumentare la curiosità di visionare il film, dall’altro però a creare nei giovani spettatori delle aspettative aventi per oggetto che “Crudelia è quella più cattiva di tutte, perchè se la prende addirittura con dei cuccioli, che vuole uccidere e spellare giusto per apparire più bella e alla moda”. Dall’ottica di un adulto, Crudelia De Mon potrebbe sembrare anche una signora un tantino stramba − magari con qualche tendenza psichiatrica − ma sicuramente più da compatire che da avversare, per il semplice fatto che se la deve vedere con oltre 100 cani in una volta (e meglio non immaginare il cattivo odore che possono emanare, nè il casino e i danni che potrebbero fare tutti insieme), oltre ai relativi padroni e alle forze dell’ordine alle calcagna. Per non parlare, poi, di tutti gli altri cani venuti in soccorso della già ben nutrita orda dei 101, i quali nel film sono raffigurati come organizzati a livello di corpo paramilitare e con competenze tattico-investigative superiori a quelle dell’Interpol. A tutto ciò si vanno ad aggiungere due scagnozzi decerebrati, al cui confronto Franco e Ciccio sarebbero dei Premi Nobel. Ciononostante nel bambino che vede questa pellicola − specialmente se in possesso di qualche animale domestico − potrebbero crearsi copiosi timori di furti in casa, violenza, aggressione (la governante della famiglia di Pongo e Peggy viene aggredita da Gaspare e Orazio, che poi vanno a catturare i cuccioli), sequestro di persona (o di animale? Infatti in questo come in quasi tutti i Classici Disney il processo di umanizzazione degli animali porta a considerarli alla stregua di persone), oltre alla palese inefficacia delle forze dell’ordine, che nel film capiscono nettamente di meno dei cani. Meno male che la pellicola non è ambientata in Italia, altrimenti sarebbe apparsa come una palese barzelletta ai danni dell’Arma dei Carabinieri.

4) BAMBI (1943)

Come già accennato, i primi Classici di Walt Disney sono quelli più pericolosi per il benessere psichico dei bambini. E Bambi non si smentisce in questo. In tale film viene prima raffigurata la realtà bucolica e amena − quasi incantata − in cui vivono gli animali che abitano la foresta, con scene così mielose che suggerirebbero di primo acchito che la visione del cartone sia idonea anche (e soprattutto) a bambini decisamente molto piccoli, quasi in fasce. A un certo punto, però, l’eden in cui vive Bambi viene bruscamente interrotto dalla parentesi della caccia, che gli porta via ciò che di più importante aveva: sua mamma. Il proporre protagonisti orfani o personaggi che a un certo punto della trama perdono uno o più genitori sarà poi riciclato dalla Disney in molti altri cartoni (pensiamo ad esempio a Il Re Leone), ma ovviamente si tratta di una tematica molto al di sopra delle possibilità di un bambino, al quale non andrebbero mai e poi mai instillate preoccupazioni del tipo “ma se mamma muore? Cosa faccio se rimango da solo?”. Un film come Bambi obbliga dunque il bambino a confrontarsi con una tematica altamente angosciante e che, essendo appunto ben al di sopra delle sue possibilità esplicative e organizzative, generano nella sua mente dei sentimenti di debolezza e di incapacità. E chi l’avrebbe mai detto che un cerbiatto avrebbe potuto causare simili problemi?

3) PINOCCHIO (1940)

La storia del burattino più famoso al mondo, prima di essere stata riproposta come film dalla Walt Disney, è stata una allegra fiaba nata dalla penna di Carlo Collodi. Ciò però non giustifica assolutamente le diverse scene disturbanti scaturite dalla fantasia del celebre scrittore italiano: infatti, se sono solamente descritte e non raffigurate, le stesse non possono spaventare più di tanto (ne è la riprova che quando lessi Pinocchio, all’età di 8 anni, non ebbi nessuna esperienza negativa a riguardo). Il problema si presenta allorchè ciò che viene descritto sulla carta finisce sullo schermo, e così si ha il personaggio del perfido Mangiafuoco, il quale distruggendo i burattini che non gli servono più diviene la metafora di un pedofilo o di un serial killer, un personaggio in cui un bambino (benchè nelle vesti di burattino) quale è Pinocchio può imbattersi come se niente fosse e che dunque può far nascere nel piccolo spettatore il timore di essere sequestrato e maltrattato da uno sconosciuto. E non è solo Mangiafuoco a incutere terrore nel bambino in un film che fa della metamorfosi il suo topic. É proprio la trasformazione di Pinocchio a far intimorire il bambino: la fatina (che in realtà può essere considerata anche un personaggio estremamente negativo) che gli deturpa il volto, facendogli deformare il naso che si allunga a dismisura, così come il Paese dei Balocchi − in cui Pinocchio si trasforma in un asino − sono i ricordi più strazianti che può avere un bambino dalla visione di questo film. Dei ricordi ancor più spaventosi se pensiamo al fatto che il corpo del bambino è di sua natura in continuo mutamento, e su ciò non c’è nulla da dire poichè trattasi di un processo del tutto naturale e biologico, dato dal fatto che con il tempo si cresce e il corpo cambia. Ma il problema nasce dal fatto che nessuno di noi può conoscere il futuro, pertanto il bambino non può sapere come diventerà crescendo, non può conoscere la forma del corpo che avrà una volta cresciuto, ma ovviamente sa che il suo corpo è soggetto e destinato al mutamento. Questo processo di mutamento, reso incerto per il semplice fatto che il futuro stesso è ignoto e incerto, è già di per sè piuttosto disturbante per un bambino; se poi ci mettiamo anche la visione di un altro bambino (e Pinocchio, per come viene raffigurato, anche da burattino sembra a tutti gli effetti un bimbo come tutti gli altri) che muta il suo corpo...deformandosi, allora è ovvio che il giovane spettatore possa immaginare il cambiamento corporeo come estremamente negativo.

2) BIANCANEVE E I SETTE NANI (1937)

Sul gradino intermedio del podio troviamo il primo vero e proprio film d’animazione della storia del cinema, cosa che rende intuibile i molti paradossi presenti nella pellicola, primo tra tutti il fatto che i bambini-spettatori siano da un lato concepiti come così candidi e ingenui da accettare di buon grado che una donna conviva con sette uomini a lei ignoti, i quali a loro volta convivono allegramente tutti insieme nella stessa dimora, e perdipiù con Biancaneve instaurino esclusivamente dei rapporti di tipo amicale, quasi fosse una sorella per loro. Ma oltre che con i nani, Biancaneve ha dei rapporti − ovviamente sempre di natura amicale e fraterna, non altro, per carità − anche con la fauna che si aggira nei dintorni della loro casina, il che contribuisce pesantemente a creare un’atmosfera del tutto bucolica (che richiama per certi versi Heidi) che va a cozzare con il personaggio della strega cattiva (Grimilde). Ma più che “strega cattiva” sarebbe da ribattezzare “strega brutta e cattiva”, poichè i disegnatori l’hanno rappresentata così repellente che al confronto Crudelia De Mon potrebbe sembrare Miss America. E non è soltanto l’aspetto fisico della strega che può far spaventare non poco i bambini, ma anche e soprattutto il suo comportamento: in una scena, in particolare, la strega si sofferma su un suo prigioniero − oramai ridotto a scheletro − che si evince sia deceduto a causa della mancanza di acqua e viveri, tant’è che la strega, nello sfottere il malcapitato oramai ridotto a salma, gli butta nelle vicinanze una ciotola con un po’ d’acqua esclamando: “Volevi bere?! Ecco qui la tua acqua!”. Insomma, soprusi che non si sono visti nemmeno nei peggiori lager di Schindler’s List. Agli occhi di un bambino attuale la strega di Biancaneve potrebbe sembrare più che altro una militante dell’ISIS, ma per la Walt Disney degli anni ’30 non c’erano tanti problemi a mettere un bambino nelle condizioni di assistere a tali spettacoli orribili. Resta però la contraddizione che il film sia stato in certi punti realizzato come bucolico e (fin troppo) fiabesco, lasciando intendere che lo spettatore ideale sia un bambino candido e ingenuo, e in altri realizzato sulla stessa linea di una tragedia di Euripide − e avendo letto tutte le tragedie greche, scrivo “di Euripide”, poichè quelle di Eschilo e Sofocle in confronto sono spesso meno terrificanti di Biancaneve e i sette nani − e pertanto lasciando intendere che lo spettatore ideale sia un bimbo di ritorno, quantomeno, da qualche mese di soggiorno in un campo di concentramento.

domenica 7 luglio 2019

SCIENZA E CULTURA NEL SEMINARIO SULLA ROBOTICA ALL’UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

ARTICOLO ESTRATTO DA IL CENTROINFORMAZIONE.ITANANKE NEWSIN DIALOGOVOX PUBLICALA NOTIZIATM NOTIZIEGIULIANOVA NEWSWALL NEWS 24SALUTE PER MEALL NEWS ABRUZZOEKUO NEWSIL FARO 24 E RADIO AZZURRA.


Eguagliare l’uomo in tutti i suoi aspetti − cognitivi e tecnici in primis − è stato da sempre il fine ultimo della robotica, una scienza del futuro la cui conoscenza precisa e dettagliata rimane oggigiorno preclusa a larga parte del mondo accademico e non. Il dipartimento di medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente dell’Univeristà degli studi dell’Aquila, nella lungimiranza che ha da sempre contraddistinto la sua azione formativa, ha dunque deciso di organizzare per la giornata di oggi un seminario di caratura nazionale in collaborazione con l’associazione culturale Nuova παιδεία per illustrare al meglio tale scienza in un’ottica interdisciplinare, al fine di fornire una visione a 360° degli argomenti trattati. ‹‹Abbiamo lavorato mesi per organizzare questo notevole seminario›› osserva il prof. Gabriele Gaudieri, docente di pedagogia presso l’Università degli studi dell’Aquila, nonchè presidente di Nuova παιδεία ‹‹ed oggi siamo orgogliosi di aver potuto realizzare un evento che è stato così ben accolto da un largo pubblico di studenti e non, e che ha proiettato l’Università dell’Aquila e l’intero Abruzzo direttamente nel futuro››. Tra l’altro, è stato proprio il professor Gaudieri ad aprire il seminario di robotica, citando l’opera rivoluzionaria di Maria Montessori e parlando di un argomento indubbiamente originale quale la robotica educativa e le sue relative sperimentazioni in Italia; ha dunque preso la parola anche il dott. Massimo Mazzetti di Carsoli, disquisendo di robotica applicata ai soggetti diversamente abili, e poi il prof. Enzo Sechi docente di neuropsichiatria presso l’Università degli studi dell’Aquila − che ha illustrato le applicazioni terapeutiche della robotica in ambito neurologico; il professore d’informatica Massimo D’Amario ha invece tenuto una lezione tecnica di programmazione robotica, mostrando in azione al pubblico presente in sala anche robot molto particolari e “ludici”, come quelli fabbricati dalla Lego, che pur tuttavia permettono ai bambini di divertirsi coi noti mattoncini colorati senza perdere però l’occasione di imparare le basi dell’informatica e dell’intelligenza artificiale (I.A.). Quest’ultimo argomento è stato magistralmente approfondito dal dott. Eugenio Flajani Galli − psicologo giuliese autore di numerosi testi scientifici − il quale ha da un lato trattato tutti i benefici che l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie informatiche possono apportare all’umanità, dall’altro ha però messo in guardia dall’uso non appropriato di tali nuovi strumenti e, dati alla mano, ha citato tutti i casi in cui le “macchine” (computer, smartphone, tablet...) sono malauguratamente utilizzate in maniera disfunzionale e dunque hanno dato vita a rilevanti problematiche sociali molto d’attualità al giorno d’oggi quali gli IAD (internet addiction disorders), la pedopornografia digitale, l’adescamento dei minori attraverso i videogiochi online, il cyberbullismo, l’information overload...e soprattutto, dopo aver passato in rassegna tali problematiche, ha anche fornito le indicazioni pratiche su come fare per porvi rimedio e riuscire dunque a tornare ad essere veramente padroni delle macchine e della propria vita. Digitale e non. La sessione pomeridiana del seminario è stata invece contraddistinta dagli interventi del prof. Antonio Lera − docente dell’Università degli studi dell’Aquila e neurologo dirigente medico dell’ASL, nonchè presidente del Rotary Club Teramo Est e dell’associazione culturale γάπη - Caffè letterari d’Italia e d’Europa − e dell’economista e presidente S.E.I. Vincenzo Pietropaolo, i quali hanno rispettivamente trattato del confronto tra le attività proprie del robot e quelle dell’essere umano e di robotica applicata all’economia. In conclusione la dott.ssa Alessandra Norcini ha illustrato la relazione esistenziale intercorrente tra esseri umani e robot. Da segnalare, infine, la gradita sorpresa fatta dall’avv. Fabrizia Aquilio, assessore al turismo e alla promozione dell’immagine del Comune dell’Aquila, la quale ha portato i saluti di tutta la giunta comunale elogiando la “nobile opera educativa che l’Università degli studi dell’Aquila offre agli universitari del capoluogo abruzzese e − più in generale − alla cittadinanza tutta”. Un’opera, oggigiorno, utile più che mai.