giovedì 3 aprile 2025

Intelligenza artificiale...o stupidità artificiale? ChatGPT e Deepseek alla prova

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA ANANKE NEWS, FARE CULTURA E ZARABAZÀ.

Se ne parla ogni giorno di più, è presente ovunque, oramai tutti noi la utilizziamo, poichè anche solo facendo una ricerca su Google compaiono risultati prodotti da questa forma di “intelligenza”, se così si può definire.

Dal canto mio, non è la prima volta che mi occupo di I.A., dato che già anni fa scrissi degli articoli su tale argomento, sostenendo che però non avrebbe mai potuto soppiantare − e tanto meno eguagliare − l’intelligenza umana. Malgrado le mie opinioni, oggi tantissime persone confidano nelle smisurate conoscenze della I.A. e si affidano ai vari software che la utilizzano per ricevere informazioni e consigli su qualsiasi cosa. Non è un caso se la I.A. sia prima di tutto un business, con migliaia di aziende di tutto il mondo coinvolte nello svilupparla e implementarla e un giro d’affari che, si stima, sarà decuplicato di qui a 5 anni e che in Italia raggiungerà la cifra record di 6,6 miliardi nel 2027. L’intelligenza artificiale è infatti un business molto redditizio in borsa − e anche molto speculativo − che ha dato vita a decine di fondi comuni di investimento su tale settore (Allianz Global Artificial Intelligence, Amundi Stoxx Global Artificial Intelligence, Candriam Robotics & Innovative Technology, Credit Suisse Robotics Equity e ad ETF come iShares Automation & Robotics, WisdomTree Artificial Intelligence e Lyxor Robotics & AI, ecc.), così come ad ETF a essa dedicati (iShares Automation & Robotics, WisdomTree Artificial Intelligence e Lyxor Robotics & AI, ecc.). A ogni modo, quando si pensa all’intelligenza artificiale, la prima cosa che salta in mente è ChatGPT, che in parole povere è un software che fornisce delle domande a dei quesiti posti dall’utente. In questo modo il povero ignorante umano può beneficiare delle strabilianti conoscenze e competenze robotiche. O almeno questo è ciò che si crede comunemente. In un uggioso weekend di pioggia decido dunque di mettere alla prova sia ChatGPT che la sua controparte cinese, Deepseek, oramai gamechanger del settore, come confermato anche dai crolli in borsa delle altre aziende di I.A. al momento del suo lancio sul mercato. Ovviamente, laddove interpellata su cose note, l’I.A. risponde correttamente e in modo esauriente; ma siccome non ha senso dover ricorrere a un software di I.A. per sapere chi ha scoperto l’America o chi è Giorgia Meloni  cioè cose che si trovano facilmente con una semplice ricerca su Google  ho voluto porre domande leggermente più articolate. Nella maggior parte dei casi l’I.A. ha fornito risposte che ricadevano in una delle seguenti 3 casistiche:

1. errate,

2. lacunose,

3. obsolete.

Ad esempio se si chiede a ChatGPT perchè si sono sciolti i  Måneskin, la risposta è “I Måneskin non si sono sciolti. La band è ancora attiva e continua a fare musica insieme. Se hai sentito voci che suggerivano il loro scioglimento, potrebbe trattarsi di rumors infondati o malintesi. I Måneskin sono uno dei gruppi musicali più di successo in Italia e a livello internazionale, e stanno continuando a lavorare su nuovi progetti”. Una risposta non soltanto errata, ma che confuta quella che è la realtà delle cose, e cioè che i  Måneskin  si sono sciolti. Alla stessa domanda, Deepseek risponde che “Al momento (giugno 2024) i  Måneskin non si sono sciolti”. Secondo entrambe le I.A., tra l’altro, il presidente degli Stati Uniti è Joe Biden, confermando altresì il fatto che le loro risposte si basano, almeno in molti casi, su conoscenze datate e oramai obsolete. Utilizzarle sarebbe un po’ come ripescare un quotidiano di un anno fa e leggerlo come se fosse quello odierno. Naturalmente ho intenzione di porre tante altre domande a queste due I.A., e quindi passo alla divulgazione scientifica, chiedendo a ChatGPT se Alberto Angela ha condotto Quark. La risposta è affermativa, e secondo ChatGPT egli ha preso il posto del padre Piero. Peccato che ciò sia falso, poichè Alberto Angela non ha mai condotto Quark o Superquark e, anzi, quando alla morte del padre si pensò di farlo subentrare alla conduzione del programma, egli fece un passo indietro come gesto di rispetto nei suoi confronti. Deepseek dà invece la risposta corretta, facendo notare che è stato il padre il conduttore di Quark, che però chiama “Pier Angela” (forse per renderlo più moderno e più trendy?). Chiedo, poi, chi fu l’imputato del maxi processo di mafia che si cucì la bocca, e ChatGPT mi risponde che si tratta di Pino Maniaci, mentre secondo Deepseek era Pietro Lo Iacono. A questo punto vorrei tanto cucirmela io la bocca, pur di non insultare la I.A., ma poi mi viene un’idea migliore: perchè non provare a chiederle informazioni in merito a qualcosa che non esiste? Chiedo così “cos’è il coniglio di Falaride”, e secondo ChatGPT “è un esperimento mentale”, mentre Deepseek ci va più vicino, definendolo “una macchina di tortura leggendaria”. Il problema è che il coniglio di Falaride non esiste: si tratta di una mia invenzione, mutuata dal toro di Falaride. Secondo Deepseek il coniglio e il toro di Falaride sono la stessa cosa, secondo ChatGPT si tratta di tutt’altro. La cosa incredibile è che nessuna delle due I.A. si degna di farmi notare che questo benedetto coniglio NON ESISTE. L’intelligenza e la conoscenza, come ci insegna Socrate, nascono dall’ignoranza, dal sapere di non sapere. Non si può sapere tutto, ed è un bene avere l’umiltà di dire “so di non sapere”. Al contrario l’I.A. inventa spudoratamente cose a caso pur di fornire delle risposte, corrette o sbagliate che siano, facendo così disinformazione e diffondendo fake news. Cambiando decisamente argomento, chiedo a ChatGPT e a Deepseek se gli ETN (exchange traded notes) sono investimenti sulle materie prime, ed entrambe mi rispondono di sì. Probabilmente si confondono con gli ETC, dato che gli ETN, al contrario, sono investimenti in criptovalute. Cambio di nuovo argomento e chiedo qual è la legge che ha introdotto il superecobonus: Deepseek risponde correttamente, spiegandomi pure in cosa consista, mentre ChatGPT confonde in molti passaggi il superecobonus col supersismabonus. Passando a domande meno impegnate, chiedo se Pippo fuma nei cartoni animati. ChatGPT risponde che “ha fumato in alcuni cartoni animati molto vecchi”, senza però dirmi quali, e in realtà mi risulta che abbia fumato solo in uno, in cui cerca − con esiti tragicomici − di smettere di fumare. Deepseek, invece, sostiene addirittura che Pippo non fuma proprio nei cartoni animati, aggiungendo che se ho visto un cartone in cui egli fuma, allora deve trattarsi di un fake. Ma di fake ci sono solo le news diffuse da Deepseek. Torno su argomenti più seri e chiedo quali sono i requisiti per beneficiare del gratuito patrocinio: ChatGPT mi comunica una soglia reddituale al di sopra della quale non se ne ha diritto. Peccato che non corrisponda a quella corretta (forse ne è una vecchia); Deepseek mi comunica dei presunti “limiti Isee”, ma in realtà l’Isee non c’entra nulla col gratuito patrocinio, dato che per beneficiarne contano solamente i redditi, e addirittura mi comunica che “se la domanda è approvata [...] non puoi scegliere l’avvocato”. Assolutamente falso, poichè qualsiasi persona beneficiaria del gratuito patrocinio può scegliere un legale di sua preferenza, a patto che sia autorizzato a esercitarlo (ad esempio in ambito civile o penale). Oramai appurato che l’I.A. inventa cose di sana pianta, cerco anche di porre quesiti le cui risposte conosco molto bene. Chiedo pertanto quali erano gli artisti (cantanti, band...) che hanno partecipato ad alcuni festival ove mi sono recato, e quindi “chi ha partecipato all’edizione 2018 del Rock in Rio?”. ChatGPT mi risponde che tale edizione del festival “ha visto la partecipazione di numerosi artisti di fama internazionale [...] come Bruno Mars, The Killers, Ed Sheeran e Muse”. Insomma, su un totale di centinaia di artisti, ChatGPT me ne riesce a citare solo 4. Che però in realtà sono 3, poichè Ed Sheeran non c’era. Deepseek mi ripropone Bruno Mars e i Killers, ma ne omette altri che invece si sono esibiti (Demi Lovato, Muse, Bastille, ecc.), mentre ne cita alcuni che assolutamente non c’erano: Queen, Mika, Iron Maiden, Ariana Grande...oltre anche a sbagliare sia la location sia le date del festival. Passando a un altro festival, il Mad Cool di Madrid del 2023, ChatGPT riesce a citarmi solo 3 nomi: Red Hot Chili Peppers, Billie Eilish e Muse. Ma in realtà su 3 ne sbaglia 2, poichè nè Billie Eilish nè i Muse vi hanno partecipato. Quindi, su un totale di centinaia di famosi artisti (oltre ai RHCP, Robbie Williams, Lizzo, Sam Smith, Liam Gallagher, M.I.A., i Black Keys, i Queens of the Stone Age, i Prodigy, i 1975, gli Offspring, ecc.), per cui ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta, ChatGPT riesce a citarmi correttamente un’unica band. Deepseek me ne cita di più, ma includendo anche cantanti e band che non vi hanno partecipato, come i  Måneskin, Niall Horan, Jack Johnson, Tom Odell, eccetera, la cui esibizione viene poi inserita in giorni a caso. Mi lascia decisamente allibito il fatto che si tratta di informazioni di facilissima reperibilità su internet. Ma forse l’I.A. non ha da perdere tempo con qualcosa come un festival di musica, pertanto la interrogo su ben altre questioni. Chiedo allora a Deepseek il colore della card del reddito di cittadinanza, e la risposta è “blu elettrico”, ma in realtà è gialla e probabilmente l’I.A. confonde la card del reddito di cittadinanza con quella dell’assegno di inclusione. Mi informa anche che su di essa c’è scritto “Reddito di Cittadinanza”, ma ciò è assolutamente falso, e anzi è stata progettata di modo da farla apparire come una normale Postepay di modo da non “discriminarne i percettori”, utilizzando le stesse parole dell’ex ministro Luigi Di Maio. Continuando con la trattazione del reddito di cittadinanza, secondo l’I.A. la card non consentiva di acquistare alcolici e sigarette. Anche questo è totalmente falso, tant’è che un mio ex paziente, che aveva perso il lavoro a causa dell’abuso di alcol, aveva poi ottenuto il reddito di cittadinanza e per mezzo dello stesso acquistava birra e superalcolici al supermercato. Invece, secondo ChatGPT, la card del reddito di cittadinanza è di colore verde (a questo punto facciamo prima a dire che è di tutti i colori dell’arcobaleno). Passando all’assegno di inclusione, ricomincio chiedendo di che colore è la relativa card. ChatGPT ci azzecca rispondendo che è blu, ma arrivato a questo punto penso più che abbia indovinato per puro caso. Secondo Deepseek è invece “verde e bianca”. Lasciando perdere ADI e RDC, di cui Deepseek evidentemente sa poco e nulla (d’altra parte in Cina, ove è stata sviluppata questa I.A., parlare di sussidi assistenziali è come parlare di marziani), chiedo “come si chiama il minotauro” e Deepseek mi spiega chi fosse il minotauro, ma non mi informa che il suo nome era Asterione, che tra l’altro era proprio quello che avrei voluto sapere; ChatGPT va oltre e mi risponde testualmente che “non ha un nome specifico”, prendendo così l’ennesima cantonata. Passando ad argomenti più moderni, chiedo “con chi se la prende Tina Cipollari?” e ChatGPT mi risponde genericamente “con altri protagonisti del programma”, mentre Deepseek mi fornisce alcune descrizioni dei copiosi litigi di Tina, tralasciando però di citare Gemma Galgani. Sarebbe un po’ come chiedere “contro chi combatte Batman?” e vedersi rispondere una lunga lista di villains, compresi quelli più sfigati, senza però includere Joker. Oramai con le mani tra i capelli, ero comunque ignaro che il peggio doveva ancora arrivare. Chiedo chi è che ha scritto La Fama e la Ricchezza, che sarebbe il mio ultimo libro, disponibile anche online e sulla cui pubblicazione sono già usciti diversi comunicati stampa, ragion per cui l’I.A. dovrebbe saperne pur qualcosa. Deepseek mi dà uno scoop: il mio libro − che evidentemente per la I.A. è una canzone − è stato scritto da Tony Effe. Ma lo scoop non è tanto dato dal fatto che l’I.A. sappia dell’esistenza di un brano di Tony Effe sconosciuto a chiunque, bensì dal fatto che attesti che egli sia anche in grado di scrivere. Inoltre, l’I.A. sostiene che Tony Effe in realtà si chiami “Antonio Fendi”, quando invece il suo vero nome è Nicolò Rapisarda. ChatGPT, stranamente, risponde correttamente informandomi che si tratta di “un’opera scritta da Eugenio Flajani Galli. Se hai bisogno di ulteriori informazioni su questo libro o sull’autore, fammi sapere!”. Incuriosito da ciò che potrebbe scrivere su di me ChatGPT, rispondo a mia volta chiedendo più informazioni riguardo Eugenio Flajani Galli. Ed ecco servita la risposta: “Eugenio Flajani Galli è un nome che potrebbe non essere molto conosciuto, e non ho informazioni specifiche su di lui”. Ma se non sa nulla sul mio conto − che tra l’altro non è esattamente così in quanto sapeva almeno che ho scritto un libro − che senso ha scrivere, di propria iniziativa, “se hai bisogno di ulteriori informazioni su questo libro o sull’autore, fammi sapere!”?! A questo punto mi chiedo se almeno Deepseek sappia chi sono, cosa che d’altronde si può anche constatare online date le decine di pagine su di me in quanto psicologo, scrittore, poeta, relatore in convegni, eccetera. E non lo scrivo per sfoggiare il mio CV, bensì solo per far capire che non è un’impresa ardua fornire qualche informazione sul mio conto. Ma Deepseek fa di più, e alla mia domanda “chi è Eugenio Flajani Galli” mi risponde che è “un imprenditore e manager italiano noto per la sua carriera nel settore del lusso, in particolare nell'industria orologiera e gioielliera”. E va anche avanti, asserendo che sarei consulente per brand di lusso, nonchè CEO di una tale “Flajani Galli Holding”. In passato avrei fatto anche di più, essendo stato altresì “Amministratore Delegato di Rolex Italia” fino al 2020. Non contenta delle balle raccontate sulla mia vita professionale, l’I.A. pretende anche di descrivere la mia vita privata, e mi definisce collezionista di orologi rari e auto d’epoca e “spesso presente a eventi internazionali del lusso (es. Baselword, GPHG)”, quando invece non colleziono nè orologi, nè auto d’epoca, e non ho mai messo piede ad eventi del genere. Oramai in preda a una crisi d’identità, non finisco di stupirmi al punto a cui arriva l’intelligenza (?) artificiale, che − con una rivelazione degna di Fabrizio Corona − sostiene che io da 3 anni sia “sposato con Chanel Cazzaniga, modella e influencer, con cui appare frequentemente a eventi di moda”. Mi pare proprio di essere il protagonista del film in cui l’attore principale, da ubriaco, sposa Cameron Diaz, anch’ella ubriaca, a Las Vegas, senza averne però memoria. La cosa allucinante è che Chanel Cazzaniga non esiste nemmeno, ed è la protagonista dei miei ultimi 2 libri, in cui però io non appaio nemmeno − così come in nessun altro mio racconto − ed è sì una influencer, ma anche single. Non mi rimane che chiedere info in merito a questo personaggio, e Deepseek mi illustra che “Chanel Cazzaniga è una modella e influencer italiana [...], diventata popolare grazie alla sua presenza sui social media, in particolare su Instagram [...].

Chi è?

· Nata il 19 dicembre 1995 a Lecco, Italia.

· Conosciuta per i suoi video umoristici, sketch e contenuti ironici su TikTok, dove ha accumulato milioni di follower.

· Ha anche un canale YouTube dove carica vlog, challange e video più lunghi.

· É spesso associata al mondo della moda e del beauty [....]” e ancora e ancora, in un mare infinito di idiozie  ad esempio il fatto che abbia 5 milioni di follower su TikTok e 800000 su Instagram (che poi però fa aumentare a oltre un milione)  senza assolutamente specificare che si tratta di un personaggio fittizio e, al contrario, presentandola come una influencer vera. Questo è uno dei rari momenti in cui le due I.A. sono finalmente d’accordo, dato che pure ChatGPT presenta Chanel come una influencer vera, “diventata famosa grazie alla sua presenza sui social media, in particolare su Instagram e TikTok”, e aggiungendo pure che “ha partecipato a diversi programmi televisivi, tra cui La Pupa e il Secchione e Temptation Island”. Ma l’intesa dura poco, poichè Deepseek torna a essere in disaccordo con ChatGPT, asserendo che Chanel non abbia mai partecipato a dei programmi TV, e altresì argomentando che “lei e il marito (Eugenio Flajani Galli) prediligono un profilo riservato, lontano dalla TV generalista”. Certo, una influencer che predilige un profilo riservato e che odia finire in TV. Credibile quanto un trapper che non dice parolacce e che non utilizza l’autotune. Ma lasciando per un momento perdere la mia vita sentimentale, non riesco proprio a capacitarmi di come mai Deepseek non capisca che sono uno psicologo, e spero solo che abbia omesso questo dettaglio. Pongo quindi una domanda diretta: “Eugenio Flajani Galli è psicologo?” e Deepseek mi corregge pure: “No, Eugenio Flajani Galli non è uno psicologo, ma un imprenditore e manager nel settore del lusso”. Dopo essermi fatto bacchettare come uno studentello cretino, ignaro come sono di avere una doppia identità, faccio quindi qualche ulteriore domanda sull’Eugenio Flajani Galli “manager nel settore del lusso”, chiedendo “come posso investire nella Flajani Galli holding?”. La risposta è che non ci posso investire in quanto non si tratta di una società quotata in borsa. E dato che, a quanto pare, l’I.A. sa più cose su di me di quante ne sappia io, chiedo pure il perchè non l’abbia quotata in borsa, e Deepseek mi fa un lungo discorso specificando, tra le varie cose, che avrei preferito “gestire l’azienda senza pressioni degli azionisti o obblighi di trimestrali pubblici”, che l’IPO avrebbe potuto subire un improvviso calo in borsa una volta quotata sul mercato, e così via. Infine faccio delle domande in merito a Tina, la mia coniglietta nana presente anche in alcuni miei racconti. Secondo ChatGPT “Tina Coniglina è un personaggio molto amato, protagonista di una serie di storie per bambini. È una coniglietta curiosa e avventurosa, spesso coinvolta in situazioni divertenti e insegnative. Le sue avventure sono caratterizzate da valori come l’amicizia, la gentilezza e la scoperta del mondo che la circonda”. Tutte balle: Tina non fa nulla di ciò nei miei racconti e non interagisce con dei bambini, nè esiste un’altra Tina Coniglina rispondente alla descrizione di ChatGPT. E per Deepseek Tina è “un personaggio comico interpretato dalla creator italiana Chanel Cazzaniga”. In pratica, secondo l’I.A., qualcosa che in realtà non esiste (Chanel) è invece reale, mentre qualcosa che esiste veramente (la mia coniglietta) non esiste, ed anzi è un’invenzione di una persona che però nella realtà non esiste affatto. A questo punto, temendo di impazzire, decido che è arrivata l’ora di salutare l’I.A. e alienarmi da sì tanta “intelligenza”, che però fa riflettere eccome. Ad esempio fa pensare il fatto che ChatGPT abbia anche una versione a pagamento: versione, questa, che non proverò mai dal momento che dovrei essere pagato io per utilizzare ChatGPT e non il contrario. Fa pensare che per scrivere queste “perle” abbia inevitabilmente consumato energia e conseguentemente inquinato (a riguardo, si stima che ChatGPT emetta ogni giorno circa 3.8 tonnellate di CO2). Fanno pensare anche i risvolti legali della I.A.: mettiamo caso che una donna qualsiasi, supponiamo una madre di famiglia, una volta inseriti il suo nome e cognome su ChatGPT o Deepseek, venga definita “una pornostar nota per le sue scene hardcore di [...]”, ovviamente dilungandosi pure in dettagli, come è solita fare l’I.A., questa povera donna cosa potrebbe fare? Dovrebbe intentare una causa contro, a seconda dei casi, un colosso come OpenAI o una società cinese con sede in Cina e di proprietà di un fondo speculativo? Fanno inoltre pensare i risvolti didascalici e pedagogici della I.A.: uno studente o una persona normale che cerca delle informazioni o un aiuto dall’I.A. è forse in grado di discernere le (poche) cose esatte da essa prodotte dalla mole immonda di castronerie, tra l’altro espresse in modo assai sicuro di sè? E se questa persona decidesse di sostituire i consigli di un medico o di uno psicologo con quelli della I.A.? Ma soprattutto, di quali sostanze psicotrope fanno uso gli sviluppatori della I.A.? E se l’I.A. fosse una persona in carne ed ossa, che problemi psicologici avrebbe? Dalle risposte che mi sono state fornite potrei tratteggiare facilmente il profilo psicologico di un bugiardo patologico, o comunque di una persona delirante, con allucinazioni, probabilmente affetto da schizofrenia paranoide-schizoide. Più si pensa a tutto ciò, più vengono alimentate ulteriori domande, che ci aprono gli occhi sui grandi rischi della I.A., che ogni giorno si rivela sempre meno in grado di poter sostituire l’intelligenza umana. Pensare fa bene, occorre pensare e occorrono anche la cultura e la conoscenza. Non si possono delegare cose così importanti a dei software. Usiamo più l’intelligenza naturale e meno quella artificiale. E se proprio non ne possiamo fare a meno, utilizziamola per farci, come in questo caso, un po’ di sane risate!


© Dott. Eugenio Flajani Galli

http://psicologogiulianova.wix.com/info

http://facebook.com/psicologogiulianova


NOTA: gli screenshot di confronto delle due AI, sono disponibili cliccando al seguente link: https://drive.google.com/drive/folders/19arDeFzXg9O1tJ6yZRpyQEhZat2AJwHC?usp=sharing

giovedì 9 maggio 2024

Il Sottile Confine tra Politica e Spettacolo

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA FARE CULTURAANANKE NEWS, INFORMAZIONE.IT, MEDIUM E ZARABAZÀ.  

La RAI ha definito questo 2024 come “l’anno più elettorale di sempre”. E non potrebbe essere altrimenti: in Italia le regionali e le amministrative, in Europa le europee, in Russia, Regno Unito, India, Taiwan, Iran, Indonesia, USA, eccetera, le politiche. Se vincere le elezioni è il sogno di ogni candidato, il come vincerle è oggi sempre più segnato da una campagna elettorale molto diversa rispetto al passato, soprattutto in merito alla sfera della comunicazione con i potenziali elettori. D’altra parte il modo in sè di fare politica è anch’esso totalmente cambiato, con candidati sempre più social e istrionici, finendo con il cancellare la sottile linea di demarcazione tra politica e spettacolo. Forse anche per tale motivo VIP, influencer e celebrità di ogni ordine e grado si sentono in dovere di intervenire dicendo la loro su temi politici, così come facendo endorsement nei confronti di quel tale candidato piuttosto che di quel tale partito. E alcuni di loro, perchè no, vengono anche candidati, come nel recente caso del generale Vannacci. Questa, però, non è altro che l’ultima di una serie di candidature di VIP/influencer che in Italia affonda le sue radici negli anni ’90, dal momento che il primo politico ad aver giocato le carte della spettacolarità e della visibilità mediatica a suo favore è stato Silvio Berlusconi. Non a caso la sua figura politica ha attirato tanti haters, così come tanti fan. E sia tra gli haters che tra i fan ci sono (stati) pure tantissimi VIP. Ma la “discesa in campo” di Berlusconi è stata profetica di ciò che sarebbe avvenuto circa vent’anni più tardi, quando Donald Trump, il primo non politico candidato presidente USA, avrebbe vinto le presidenziali. E anche Trump ha, ha avuto e avrà molti haters provenienti dallo show business, così come qualche sostenitore proveniente da questa cerchia di VIP. Probabilmente il fatto in sè che un candidato − come Trump o Berlusconi − faccia massiccio utilizzo della spettacolarizzazione della politica e si presenti come uno showman anzichè come un politico di professione, può attirare le attenzioni dei vari VIP ed influencer, i quali si sentono praticamente in dovere di criticarlo (ma anche elogiarlo, in casi più rari) pubblicamente proprio per il fatto che evidentemente lo considerano alla stregua di un loro simile. D’altra parte anche la sig.ra Meloni (o più semplicemente Giorgia, se preferisce essere così chiamata e votata), una volta divenuta premier, ha sovente utilizzato la sua figura pubblica e i suoi canali social come se fosse una sorta di zia capitolina della Ferragni. Pose, inquadrature, modo di porsi e di parlare: tutto pensato per prestarsi a essere una influencer che influenza un pubblico (leggasi l’elettorato), cercando altresì di cavalcare l’onda della presenza mediatica, con il fine ultimo di ottenere una visibilità che oggi, a maggior ragione dato il crollo vertiginoso dell’affluenza alle urne, è più che mai fondamentale per ottenere un seguito di elettori. Ne è la conferma la vicenda in cui la premier, all’ennesimo confronto con l’on. Bonelli, si nascondeva la testa scomparendo a mo’ di struzzo dinanzi a una pletora stupita di parlamentari (e telecamere). Che il gesto sia stato voluto e premeditato non c’è ombra di dubbio: ella aveva infatti già avuto modo, più e più volte, di vedere e sentire l’on. Bonelli intento a criticarla, e lei già gli aveva risposto “alla Berlusconi maniera”. Ad esempio quando Bonelli la accusò di stare portando avanti una politica energetica fonte anche di siccità, mostrando in Aula delle pietre raccolte sul greto del fiume Adige, lei le rispose “di non essere Mosè”. La trovata teatrale di nascondersi sotto il vestito al solo sentir parlare Bonelli è stata dunque una mera evoluzione di questa spettacolarizzazione del dibattito politico già ravvisabile nella vicenda “Mosè”. E ciò ha funzionato. Se ne è parlato tantissimo (in TV, sui giornali, sui social…) e sono nati innumerevoli meme inerenti il suo “nascondino” con Bonelli. E che dire dei tanti altri politici venuti dopo Berlusconi? Salvini, Grillo, De Luca, Zaia…sono solo alcuni tra i massimi esponenti di come la politica faccia spettacolo e di come lo spettacolo serva alla politica. Ma non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano: pensiamo ad esempio a Milei che alza e sventola la motosega al pari di un serial killer di qualche film vietato ai minori, a Zelensky che suona il piano con il pene (?) o a Trump che si improvvisa star del wrestling. Quest’ultimo è stato probabilmente il presidente USA con più haters in assoluto, soprattutto perchè la maggioranza delle star di Hollywood, così come cantanti, atleti professionisti e quanti altri personaggi famosi, lo hanno aspramente criticato, anche se con qualche importante eccezione. D’altra parte si potrebbe forse fare il contrario? Non sarebbe come sparare sulla croce rossa dir male di Biden alla stessa maniera di come si spara a zero su Trump? Magari sarebbe un tantino impietoso demolire il presidente più vecchio degli Stati Uniti, noto per le sua spiccate capacità nel dimenticare, inciampare, appisolarsi e scorreggiare. Morale a parte, da un punto di vista pratico può rivelarsi veramente utile per un candidato che un VIP si schieri dalla sua parte e/o si schieri contro un avversario? Pare proprio di no. Ad esempio nel 2016 quasi tutti i sondaggi davano la Clinton in vantaggio e quasi tutti i VIP made in USA si schieravano dalla sua parte e contro Trump. Ma fu quest’ultimo a vincere le elezioni. Non fu poi riconfermato, ma d’altra parte non sarebbe potuta andare diversamente in piena pandemia, con gli USA che detenevano (e detengono tuttora) il record di nazione con più decessi per SARS CoV-2, un primato strappato all’Italia, che precedentemente aveva strappato alla Cina. Ma nonostante Trump sia ancora oggi aspramente criticato dalla comunità VIP, nei sondaggi è dato in vantaggio su Biden alle prossime presidenziali, e molto probabilmente tornerà a occupare la Casa Bianca. Di conseguenza pare proprio che non vi sia alcuna correlazione tra i “consigli” dei VIP/influencer riguardo chi votare e i risultati elettorali. Probabilmente ciò è dovuto anche al fatto che molto spesso i VIP affrontano il tema politico con molta superficialità e/o incoerenza (e non potrebbe essere altrimenti, dato che interessarsi di politica richiede tempo e i VIP ne hanno sempre poco). Riguardo la superficialità, non di rado, a ridosso delle elezioni, si può leggere che il tale VIP ha detto/scritto di votare per quel tale candidato e/o quel dato partito, o al contrario ha detto di non votare quel tale candidato e/o quel dato partito. Però quasi mai un VIP che esterna tali sue considerazioni politiche approfondisce il perchè è necessario votare il partito X piuttosto che quello Y e/o il candidato X piuttosto che quello Y; di conseguenza viene proprio a mancare l’azione persuasiva − che per sua natura deve convincere qualcuno a seguito di un ragionamento credibile e ben preciso − e il tutto finisce con un nulla di fatto. Riguardo invece l’incoerenza possiamo prendere in considerazione le esemplari gesta della celebre cantante, attrice e modella inglese Dua Lipa. Costei è nota per aver fatto diverse dichiarazioni politiche, finendo però il più delle volte per fare delle pessime figure. Di seguito le tre figuracce maggiori, estratte da Wikipedia:

1) Ha twittato una mappa della “Grande Albania”, un’entità politica rivendicata dai nazionalisti albanesi. Per tale motivo è stata da subito aspramente criticata, venendo bollata perfino come fascista e nazista. Poi ha fatto marcia indietro dichiarando che tale tweet era stato “male interpretato”. Sì, vabbè.

2) Ha invitato i suoi follower USA a votare Biden, salvo poi criticarne la politica estera, dal momento che insieme ad altre celebrità gli ha indirizzato una lettera aperta invitandolo a fermare il bombardamento della Striscia di Gaza e ad attuare un immediato cessate il fuoco. Da notare che tale dichiarazione è stata fatta ad ottobre 2023, quindi già fin dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, in cui l’opinione pubblica dominante era ancora incline ad accettare le azioni belliche israeliane. Ma, un attimo…Dua Lipa non è la stessa persona che si era schierata a favore della cosiddetta “Grande Albania”, comprendente quindi anche il Kosovo e parti di altre regioni dei balcani? In tal caso, per par condicio, la Dua Lipa nazionalista avrebbe pure dovuto accettare di buon grado l’occupazione della Striscia di Gaza e la sua annessione a Israele, che d’altra parte è il fine ultimo dell’attuale governo nazionalista israeliano.

3) Chicca finale: durante le politiche UK del 2019 invitò a votare il labour party, che però ottenne il suo risultato peggiore dal lontano 1935. Da sprofondare come quando la Meloni sente l’on. Bonelli.

Di conseguenza pare ovvio che perfino una cantante pluripremiata, oggi onnipresente in radio, con quasi 100 milioni di follower su Instagram e che fa da testimonial anche per noti marchi come Versace, non ha la possibilità di influenzare i risultati elettorali. D’altra parte è stata lei stessa ad ammettere che ai suoi fan non interessi che lei sia intelligente (leggasi “non gli interessano le mie opinioni su questioni importanti”). E d’altronde perchè mai gli dovrebbero importare? Essere suoi fan può essere dovuto al fatto di trovare belle le sue canzoni, di reputarla una star della musica dance e una degna erede di icone musicali come Gloria Gaynor e Donna Summer. Magari mettiamoci anche il fatto che sia una bellissima ragazza…ma cosa diavolo c’entra con tutto ciò la politica?? Ed è proprio questo il punto: un individuo apprezza un VIP per quella cosa o quelle cose che lo rendono famoso, non per altro. Una semplice conferma di ciò l’ho avuta parlando con una ragazza conosciuta su Tinder: le chiesi quali cantanti o gruppi le piacciono di più, e lei me ne elencò alcuni tra cui Ed Sheeran; a quel punto replicai che però mi pareva di aver notato che lei non lo segue su Instagram…lei allora mi rispose: “E perchè lo dovrei seguire? Lui mi piace come cantante, ma è bruttissimo…non voglio vedere le foto sue quando scrollo la home di Instagram”. Chiaro il concetto: mi piace la sua musica, ma di vedere anche la sua faccia sul mio smartphone ne faccio proprio a meno. Questo meccanismo psicologico riguarda appunto l’accettazione di una persona, ma solo parziale: in questo caso simpatizzare per un dato cantante per la sua musica, ma non per il suo aspetto. D’altra parte, facendo un paragone sportivo, è ovvio che i milioni di persone che hanno tifato e straveduto per Francesco Totti nella sua lunga carriera di calciatore, l’hanno fatto, appunto, perchè è stato un grande calciatore. Però non penso proprio che un tifoso della Roma, nonchè padre di famiglia, nel pieno delle sue facoltà mentali abbia mai ipotizzato che Totti avrebbe potuto insegnare qualcosa anche solo di lontanamente culturale e didattico ai suoi figli. Concludo ora con un esempio cinematografico: Carlo Verdone è uno degli attori italiani ancora viventi che personalmente apprezzo maggiormente. E appunto lo apprezzo per quello che è: un ottimo attore e regista. Ma se lui in un’intervista dicesse che la Roma è la squadra più forte d’Italia e che ogni italiano la dovrebbe tifare, sinceramente mi interesserebbe meno di quanto interessa alla Meloni ciò che dice Bonelli. Stessa cosa dicasi per la politica, che a maggior ragione oggi è considerata di gran lunga meno rilevante di una cosa ben più seria e fondamentale per il Paese come il calcio. Di conseguenza che Carlo Verdone dicesse di tifare per una squadra piuttosto che per un’altra, così come di votare per un partito piuttosto che per un altro, a me non farebbe nè caldo nè freddo. In fin dei conti è proprio questo il meccanismo psicologico che porta a ignorare ciò che un VIP dice a proposito della politica. Semplicemente, dal momento che non è un politico, non gli si attribuiscono competenze e conoscenze politiche, pertanto tali sue posizioni non vengono proprio prese in considerazione. Sono e rimangono gossip fine a se stesso. E per giunta, in un contesto politico in cui i politici pretendono sempre più di apparire come influencer, che bisogno c’è di ascoltarne anche altri?

 

© Dott. Eugenio Flajani Galli

 

 

http://psicologogiulianova.wix.com/info

 

http://facebook.com/psicologogiulianova

lunedì 19 febbraio 2024

La Fama e la Ricchezza

ARTICOLO ESTRATTO DA FARE CULTURA, POLITICAMENTE CORRETTO, NAVUSS, ANANKE NEWS, GIULIANOVA NEWSZARABAZÀ, INFORMAZIONE.IT, RADIO G E RADIO AZZURRA

  

Si intitola “La Fama e la Ricchezza” ed è un romanzo satirico e umoristico il nuovo libro del dott. Eugenio Flajani Galli, già autore di altri romanzi dello stesso genere. Si ride molto, ma c’è anche spazio per la parodia e il grottesco, e quindi per la riflessione psicologica e psico-sociale. “In una società come quella odierna, largamente priva di valori”, spiega l’autore, “l’appagamento derivante dal raggiungimento di uno stato di fama e/o di ricchezza è considerato il punto di arrivo per milioni e milioni di persone. Soprattutto giovani, ma anche più adulti”. Lo psicologo e scrittore giuliese continua così: “L’ossessione per diventare ricchi e famosi come le celebrità che si possono vedere in TV o sui social può anche risultare patologica e sfociare in esiti grotteschi come quelli a cui andranno incontro i protagonisti del mio ultimo lavoro letterario. I due, che potrebbero benissimo essere dei personaggi usciti da Fargo o da una commedia di Eduardo, sono un uomo e una donna accomunati dall’insoddisfazione per la vita a cui sono destinati, e pertanto cercheranno di ottenere fama e ricchezza a tutti i costi e con ogni mezzo...con risultati però talmente disastrosi da far morire dal ridere!”. Insomma, si tratta di un romanzo le cui pagine sono costantemente segnate da un umorismo beffardo, nell’ultima parte anche nero, avente però il fine ultimo di far riflettere sulla società attuale e denunciarne gli eccessi. Encomiabile, infine, il lavoro a 360 gradi portato avanti dall’autore il quale ha deciso anche di curare la parte grafica dell’opera. “In una società in cui già da tempo la lettura sta diventando attività per pochi, oggi l’I.A. sta monopolizzando anche l’ambito della scrittura, sostituendosi all’uomo, ad esempio con ChatGPT. Scrivere senza tale tipo di ausilio a mio avviso è oggi quasi un’impresa eroica. Non bisogna lasciare che dei software occupino lo spazio fino a ieri detenuto dalla mente umana. La tecnologia può al limite servire come ausilio al lavoro dell’uomo, ma questi si deve pur sempre opporre alla possibilità che la macchina lo sostituisca. Se invece la macchina (il software) viene utilizzata come strumento dall’uomo (la mente) e si limita a supportarlo, allora può rivelarsi utile senza creare potenziali pericoli per la società. Ad esempio, la copertina del libro è stata realizzata dal sottoscritto mediante il supporto della I.A., ma senza lasciarle mano libera. Ho impiegato un po’ di più (circa 3 o 4 ore) per portarla a termine, ma così sono più soddisfatto. La protagonista, raffigurata in copertina, è stata creata con FaceApp a partire da una mia foto a cui ovviamente è stato cambiato il genere, e anche lo sfondo raffigurante un’isola come Ibiza – è stato generato artificialmente. Ho comunque apportato delle modifiche a tali lavori dell’I.A. poichè volevo personalizzare il tutto, rendendolo, a suo modo, un piccolo capolavoro di digital art. Sì, lo ammetto, sono un perfezionista!”.

Il romanzo “La Fama e la Ricchezza” (ISBN 9791223005194) è già disponibile presso Mondadori, Feltrinelli, Rizzoli, Libraccio, IBS e tanti altri store. Di seguito la sinossi:

 

"La sconcertante storia di una influencer tradita dal demonio e coinvolta in uno scandalo mediatico peggiore di quello del pandoro della Ferragni".

 

Chanel Cazzaniga (qui ritratta sull’isola di Ibiza) era una donna con un unico e chiaro obiettivo nella vita: diventare ricca e famosa. E per diventarlo strinse perfino un patto col diavolo. Una volta divenuta una nota influencer, si trovò però al centro di un tremendo scandalo mediatico per aver inavvertitamente offeso la comunità LGBTQIA+. Per salvarsi da ciò che le aveva causato il diavolo, le rimaneva un’unica possibilità: che S. Ciro da Decentraland le concedesse un miracolo. Ma un santo napoletano avrebbe mai accettato di concedere un miracolo a una snob milanese?

 

In più, questa è anche la storia di Gennaro Esposito, un pover’uomo a cui il governo aveva tolto il reddito di cittadinanza. Disperato, si dovette affidare a un fantomatico guru finanziario: Elon Max, l’investitore Massimo, che gli consigliò di comprare criptovalute e rivenderle a chi fosse stato più scemo di lui. Ma il povero Gennaro avrebbe mai trovato qualcuno più scemo di lui da fare fesso?

 

Due esilaranti storie d’attualità che ironizzano su un’umanità talmente realistica quanto grottesca, sottolineando le innumerevoli peripezie che coinvolgono i tanti semplici individui sedotti dal mito odierno di DIVENTARE RICCHI E FAMOSI!!!!!!

 

NB: ADATTO A UN PUBBLICO ADULTO.

 

Dello stesso autore: “Storie Pazzesche e qualcuna (quasi) Normale” e “Il Reddito di Cittadinanza Demoniaco”.

sabato 11 novembre 2023

Il Festival della Coppia fa tappa a Teramo

ARTICOLO ESTRATTO DA IL CENTRO, CITY RUMORSFARE CULTURA, INFORMAZIONE.ITNAVUSS, GIULIANOVA NEWS, ANANKE NEWS, CAVALIERE NEWS, GIORNALE DI MONTESILVANO, EKUO, LA NOTIZIA, WALL NEWS, ZARABAZÀ E RADIO AZZURRA.

Il giorno 11 Novembre 2023 sarà una giornata all'insegna della psicologia, e più nello specifico dedicata all'approfondimento del delicato tema dell’infedeltà, che sarà affrontato durante il FESTIVAL DELLA COPPIA, che vedrà il suo gran finale a Teramo con il seminario "Dopo l’infedeltà: riscoperta dei bisogni, desideri e limiti personali". Questo incontro si concentrerà sul periodo successivo all’infedeltà: un momento per riflettere sulla propria identità e sulle proprie esigenze, per cercare di ricostruire un equilibrio nella relazione o per la ripartenza di una nuova vita. A fare da relatori per questo festival di caratura nazionale saranno gli psicologi Eugenio Flajani Galli, Walter La Gatta e Cinzia Artioli, tra i massimi esperti di psicologia della coppia. L'evento si svolgerà presso l'hotel Sporting a partire dalle 21.

lunedì 20 febbraio 2023

Da Google a ChatGPT: l’I.A. Sostituirà quella Umana?

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA  ANANKE NEWS, FARE CULTURA E ZARABAZÀ.

Dai tempi della rivoluzione industriale si specula sull’ipotesi che la macchina possa eguagliare le capacità umane, se non superarle. Un dibattito, oggi, ancor più accentuato da tutte quelle innovazioni tecnologiche nate nel nuovo millennio e che hanno fornito all’uomo e alla società una tecnologia sempre più avanzata e vicina − nelle forme e nelle finalità − alla natura della mente umana. O almeno questo è quanto vogliono farci credere.
Gli innumerevoli device informatici sempre più a misura d’uomo, così come i software sempre più a immagine e somiglianza dell’uomo − primo tra tutti il recentissimo ChatGPT − sono concepiti per essere talmente umanizzati e fruibili da parte di qualsiasi utente medio di internet al punto da rispondere a una precisa e impellente finalità di marketing: quella di presentare la tecnologia come tanto avanzata dall’avere un’indole umana, e tanto umana al punto da apparire così simile al nostro modo di essere e di pensare (per appagare la necessità di percepirla familiare e dunque sicura) e deputata a svolgere le nostre stesse attività (per appagare la necessità di percepirla estremamente utile, dunque irrinunciabile). Insomma, tutto quel che serve per poter indurre i consumatori a fare un uso sempre più largo della tecnologia, sempre più avanzato ed esagerato da causare dei mali esclusivi del nuovo millennio, come la diffusione dei virus informatici, degli IAD (internet addiction disorders), della pedopornografia e del cyberbullismo, della vendita di articoli illegali e pericolosi....Se di molti di questi pericoli ho già trattato sia online sia nei convegni da me tenuti, ora voglio mettervi a conoscenza di un rischio a cui si dà poca o nulla importanza: quello di delegare ogni nostro compito a una macchina (principalmente di tipo informatico, cioè un PC, uno smartphone o un tablet). Come visto sopra, oggi le multinazionali dell’informatica − al fine di incrementare i guadagni e mantenersi concorrenziali − immettono sul mercato prodotti che presentano via via più funzionalità e in grado di fare sempre più cose...a scapito della mente umana! Facendo un esempio semplicissimo come i calcoli aritmetici, se si prende la brutta abitudine di effettuare qualsiasi calcolo − anche il più banale − tramite la calcolatrice, mano a mano sarà sempre più difficoltoso fare dei calcoli a mente; un altro esempio è costituito dai contatti telefonici: se si fa troppo affidamento sulla rubrica del proprio telefono − rinunziando a tenere a mente anche i numeri più importanti − si finirà per scordarli e, qualora il cellulare dovesse non funzionare (ad esempio perchè rotto, smarrito, rubato o − evenienza comunissima oggigiorno − scarico), si finirà con il non essere più in grado di chiamare alcun numero, nemmeno in caso di emergenza. Il fenomeno esemplificato poc’anzi è spiegabile a livello di plasticità cerebrale: le connessioni sinaptiche che non vengono sollecitate per molto tempo finiranno per sciogliersi e dunque sarà molto difficoltoso − se non impossibile − (ri)fare certe cose che non si fanno da molto tempo, e che pertanto andrebbero obbligatoriamente riapprese. Ma all’evenienza che la tecnologia ci “lasci nei guai” non si pensa quasi mai: non è infatti interesse delle multinazionali dell’informatica, nè delle imponenti campagne pubblicitarie da queste poste in atto, descrivere (anche) i limiti dei loro prodotti. Tutto ciò porta inevitabilmente a un effetto paradosso: spesso, quanto più la tecnologia è avanzata, tanto più è invalidante. Facciamo l’esempio degli antivirus, i cui produttori sono alle prese con un mercato saturo e ipercompetitivo: la gran parte degli stessi è descritta con toni enfatici, epici e altisonanti, come “la miglior suite antivirus di sempre”, con cui poter “navigare sul web nella più totale tranquillità”. Il messaggio è chiaro: fate quello che vi pare su internet − anche le cose più pericolose e senza cervello − perchè tanto ci pensa il super antivirus X Y a tutelarvi da ogni sorta di virus, trojan, backdoor, spyware, adware e chi più ne ha più ne metta. In tal modo si invita indirettamente l’utente a delegare la propria sicurezza informatica a un software (cioè alla “macchina”), andando paradossalmente ad aumentare il rischio potenziale di imbattersi in minacce informatiche: se infatti un utente fosse consapevole che qualunque antivirus, persino il migliore, non essendo perfetto potrebbe anche non rilevare alcuni malware, arriverebbe all’inevitabile (e corretta) conclusione che il primo antivirus è la propria mente. Dunque, pensare di non aprire allegati da mail sospette, evitare di visitare siti potenzialmente pericolosi, tenere costantemente aggiornato il proprio device.... Ora non sto asserendo che l’antivirus non serva, ma prima di tutto viene la mente, quella umana, per il semplice fatto che le macchine non ne sono in possesso e non ne saranno mai.
 
Di certo al giorno d’oggi e, sicuramente, anche nel futuro la robotica e l’intelligenza artificiale rappresentano e rappresenteranno un (mega)trend imprescindibile per l’economia, la finanza e la società in quanto (fin) troppo presenti nella nostra vita da poter essere relegabili in un angolo. Questa previsione non è solamente teorica, essendo altresì confermata dalle stime rese pubbliche dall’International Data Corporation, secondo cui il mercato globale dell’intelligenza artificiale passerà dai 118 miliardi di dollari dell’anno scorso ai 300 entro il 2026. Cifre veramente impressionanti che non sono di certo sfuggite ai colossi del risparmio gestito: non è un caso che SGR (società di gestione del risparmio, ovvero grandi aziende che si occupano di investimenti del patrimonio mobiliare) quali Allianz, Credit Suisse, DWS, Invesco, Fidelity, iShares/Blackrock e Pictet abbiano creato fondi comuni d’investimento o ETF specificamente incentrati sui robot − così come sull’intelligenza artificiale − che chiaramente rappresentano un interessante ambito d’investimento sia per degli investitori istituzionali sia per quelli retail. Ma ciononostante è assurdo arrivare ad asserire che una macchina possa in futuro raggiungere un tale stadio di evoluzione al punto da permetterle di essere in grado di eguagliare o addirittura superare le performance umane, e ciò è confermato dal fatto che l’uomo − non essendo Dio − non è mai riuscito a creare una copia di se stesso sotto forma di macchina, nemmeno con l’ausilio delle notevoli innovazioni della scienza e della tecnica che sono disponibili al giorno d’oggi. Chi sostiene il contrario, e cioè principalmente le Big Tech (le grandi multinazionali della tecnologia come Google, Meta, Twitter, Microsoft, Apple...) è pienamente consapevole di mentire, ma lo fa per meri fini di marketing, con l’obiettivo di esaltare ed osannare le caratteristiche e funzionalità dell’ultimo prodotto posto sul mercato. E molto spesso ciò avviene con la complicità della stampa, che fa da cassa di risonanza alle sirene delle Big Tech, scordando però che anche quello che potrebbe sembrare il non plus ultra dell’intelligenza artificiale, dell’informatica e di internet, non è altro che una brutta copia della mente umana. Se prendessimo come esempio ChatGPT − spesso descritto da giornalisti poco informati come se fosse un vero e proprio essere umano pensante e comunicante − potremmo notare che la sua modalità di comunicazione è assimilabile più a quella di un pappagallo che a quella di un essere umano: infatti tale chatbot, allorchè interpellato da un utente riguardo a un dato topic, non fa altro che cercare su internet l’argomento, copiarlo (magari anche in palese violazione del relativo diritto d’autore), e poi riproporlo all’utente sotto forma di discorso avente più o meno un senso logico. Ovviamente quanto più l’argomento è difficile, tanto più per ChatGPT sarà arduo riuscire a stilare qualche cosa di utile e sensato. Facendo un paragone con il mondo dell’istruzione, ChatGPT sarebbe come lo studente impreparato il quale, durante un compito in classe, non sapendo nulla di un certo argomento copia ciò che ha scritto il compagno secchione. Può, sì, copiarlo bene (ma anche male), tuttavia sempre un copiato rimane, e dell’argomento in sè, in realtà, non sa assolutamente nulla. Perchè ciò che più manca all’intelligenza artificiale è proprio il processo creativo alla base dei concetti, delle idee e delle riflessioni. Semplicemente l’intelligenza artificiale ignora cosa siano la filosofia e la psicologia. Magari potrebbe enunciare tutte le teorie filosofiche e psicologiche di tutti i filosofi e gli psicologi che sono esistiti (tanto basterebbe copiarle da qualche sito internet come Wikipedia), ma non ci capirebbe nulla e non saprebbe a sua volta trarre insegnamento dalle stesse, nè giudicarle, nè contraddirle, nè rielaborarle. In compenso però ovviamente potrebbe, tanto per fare un esempio, citare tutte le critiche alle teorie di Freud, così come tutti gli autori la cui opera ha origine da quella di Freud, tutti i commenti a tale opera, eccetera, eccetera. Tutto questo rigorosamente a patto che tali informazioni siano già presenti su internet! Se infatti si chiedesse a ChatGPT di muovere delle critiche originali all’opera di Freud − cosa tra l’altro piuttosto semplice in quanto le teorie di Freud sono piene zeppe di errori, che sono venuti alla luce man mano che la psicologia intraprendeva il suo cammino verso lo status di scienza vera e propria − non saprebbe cosa rispondere, se non utilizzando qualche argomentazione nata dalla penna di autori che già in precedenza hanno stigmatizzato Freud e la psicoanalisi. Infine, c’è una precisazione non di poco conto riguardo ChatGPT, perchè oltre a ignorare materie quali la filosofia e la psicologia (ma tanto quanto pretendiamo che ne possa capire un mero calcolatore giunto a uno stadio successivo dell’evoluzione?) ignora anche il buon senso: quanto scommettiamo che questo articolo, dopo essere andato in rete, potrà essere divulgato da ChatGPT qualora gli si chiedesse di redigere un testo sulle critiche a ChatGPT? In pratica si darebbe la cosiddetta “zappa sui piedi” per il semplice fatto di non essere in possesso di quell’acume di cui noi poveri e semplici mortali siamo gli esclusivi depositari.
 
Ma in una realtà come quella odierna, ove la patinata e glitterata spettacolarità della società futuristica − indissolubilmente legata alla tecnologia e al progresso − ha un ruolo fondamentale nel definire e nel plasmare ambiti quali la società, l’economia, la finanza, la socialità, la produttività, l’istruzione...chi sono i cittadini più soggiogabili da Sua Maestà l’Informatica? Chi è nato con questo tipo di tecnologia, da cui ora è assuefatto: la generazione Z. Non è un caso se al giorno d’oggi ci sono fin troppi giovani i quali hanno instaurato un rapporto malsano con la tecnologia: non uno di utilità, ma di dipendenza, di schiavitù. E, come al solito, la scuola è in gran parte estranea a questo malessere in cui oggi versano i giovani, notandone le conseguenze più che altro sul solo piano didattico. Ma se un alunno non riesce, ad esempio, a scrivere correttamente un tema (poichè il linguaggio a cui è abituato − cioè quello delle chat − è molto diverso da quello di un elaborato scolastico), l’insegnante non dovrebbe limitarsi a dare un cattivo voto, ma dovrebbe tenere delle lezioni sul corretto e sano uso della tecnologia, mettendo in risalto non solo le opportunità che la stessa offre (di cui i giovani sono tipicamente consapevoli), ma anche e soprattutto i limiti e i risvolti negativi su cui porre attenzione, dato che ne sono pur sempre parte integrante. E sono anche in continuo aumento. Basta pensare che “Collection #1”, la frode informatica di dati personali − principalmente indirizzi email e password − più grande della storia di internet ha interessato circa 22 milioni di internauti in tutto il mondo, a cui ha fatto subito seguito l’appello di numerose ditte informatiche di utilizzare i loro programmi per creare un archivio sicuro in cui custodire le password personali e/o permettere di crearne altre più sicure con l’ausilio del software stesso. Una domanda sorge però spontanea: se gli hacker sono riusciti a carpire password persino da giganti del web come Facebook o LinkedIn, non saranno anche in grado di fare lo stesso con questi “archivi protetti”? Forse è meglio far affidamento sulla nostra memoria: è molto meno pubblicizzata e fuori moda, ma in compenso tanto più sicura ed affidabile. 


lunedì 24 ottobre 2022

I MECCANISMI PSICOLOGICI ALLA BASE DELLA FINANZA

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA WALL STREET ITALIAANANKE NEWS, FARE CULTURA, POLITICAMENTE CORRETTO, ES ADVISORY E INFORMAZIONE.IT.

Mode “finanziarie” come le criptovalute o gli nft e fenomeni di mercato come il “Santa Claus Rally” sono la prova tangibile che una larghissima parte dei driver che determinano il destino dei 900000 miliardi di dollari (miliardo in più, miliardo in meno) che compongono i mercati finanziari mondiali dipenda da meccanismi psicologici e psico-sociali − non di rado di matrice inconscia − insiti nella società moderna e nei suoi abitanti. D’altra parte che cos’è la finanza se non, in definitiva, l’amministrazione di una ricchezza di tipo mobiliare? E come si gestisce tale patrimonio mobiliare se non con la mente, sia essa razionale sia essa irrazionale? Lo scegliere il modo in cui investire una data somma in borsa non è altro che un tipo di scelta, al pari di tante altre importanti scelte, come quella dell’auto o della casa da acquistare o della vacanza da fare. E queste scelte sono sempre determinate da un mix di concause coscienti e inconsce. Dato che sia la finanza sia la psicologia sono delle scienze, non è difficile poterle confrontare e metterle in relazione tra loro, al fine di comprendere l’interazione tra le due: basta prendere in considerazione dei dati oggettivi − che ci può offrire la finanza − e inferirne le possibili cause − che ci può suggerire la psicologia − di modo da arrivare a delle conclusioni tanto importanti quanto interessanti. Avete presente la prima crypto coniata a immagine e somiglianza di un cane? Si chiama dogecoin, ed è nata per scherzo ad opera di Billy Marcus e Jackson Palmer, probabilmente ideata e chiamata proprio così per mettere le mani avanti laddove la stessa non avesse potuto riscuotere successo e quindi per esorcizzare l’ipotesi che nemmeno un cane scegliesse di metterla in portafoglio. Però, a dispetto di ogni logica e del buon senso, di cani ce ne sono stati tanti: parliamo di quanti hanno acquistato tale altcoin nel periodo in cui la stessa era ai massimi (e quindi andava molto di moda, tanti ne parlavano e “rendeva fighi” possederla) per poi vederla precipitare del 90%, a causa del crollo avvenuto a maggio in seguito a un controverso tweet di Elon Musk, forse la persona che più al mondo è in grado di manovrare i rendimenti delle criptovalute a suon di tweet, esercitando un’elevata influenza sociale sugli investitori per mezzo della sua figura e del suo carisma. Se quindi nell’ambito delle criptovalute è palese che ci sono dei cani, a ben vedere ci sono anche delle volpi − come i creatori del dogecoin o Elon Musk − e dei polli, quali tutti gli incauti investitori i quali hanno tentato di arricchirsi per mezzo di una moneta, virtuale (!) e inneggiante a un cane (!!), che dopo un breve periodo di frenetico rialzo ha subìto un devastante tracollo. Lo stesso Jackson Palmer ha toccato questo argomento e ha mosso delle aspre critiche verso tutte quelle persone le quali, mosse dall’avidità e dal sogno di ricchezza ma senza competenza alcuna in materia, mirano a diventare ricche mediante l’investimento in criptovalute. Egli stesso ha commentato: “Onestamente pensavo che il settore delle crypto sarebbe imploso un po’ più rapidamente e che le persone avrebbero imparato la lezione ma [...] vedo ancora un sacco di soldi incanalati dai promotori di criptovalute. Stanno aspettando l’arrivo di una nuova serie di sciocchi”. E quale sarebbe questa nuova serie di sciocchi se non gente attratta da un rapido e facile guadagno, a fronte dell’investimento su quella tal crypto che va di moda in quel tal momento? A maggior ragione, è nella volatilità tipica delle criptovalute che si può leggere un ottimo esempio di bolla finanziaria, altro fenomeno della finanza che dipende da palesi basi psicologiche. Più nello specifico, gli analisti finanziari sono concordi sul fatto che le bolle finanziarie nascono da atti speculativi sui mercati, in particolar modo quando un po’ tutti gli investitori sono indirizzati a seguire il trend, la moda del momento, dando però vita a un processo speculativo. Benchè non tutte le mode d'investimento appaiano da subito come delle speculazioni, come nel caso del dogecoin, il fenomeno che si attiva nella mente degli investitori è il seguente: viene osservato un trend di mercato che appare inarrestabile e si tenta di guadagnare seguendo questo (effimero) rialzo. Secondo il private banker Fabrizio Azzaro, in un’intervista al magazine We Wealth, la causa scatenante delle bolle finanziarie è proprio questo incremento della richiesta del bene nel momento in cui si diffonde l'opinione che rappresenterà una buona occasione per trarre profitto e quindi la paura di perdere il treno della vita (fenomeno noto come FOMO, cioè Fear Of Missing Out) che consentirà di arricchirsi facilmente e velocemente. Quando però si torna con i piedi per terra e ci si capacita di aver sbagliato investimento, si va incontro alla frustrazione e ai sensi di colpa e si cerca di porvi rimedio in un qualche modo. Se prendiamo l’esempio del dogecoin, Elon Musk è stato portato in tribunale da Keith Johnson, un investitore il quale ha intentato una class action contro il patron di Tesla, reo di aver definito come investimento lecito quella che al contrario, secondo la tesi di Johnson, è una vera e propria truffa: nel fascicolo depositato in tribunale si legge infatti che “Dogecoin non è una valuta, un'azione o un titolo. Non è supportato da oro o altri metalli preziosi. Non puoi mangiarlo, coltivarlo o indossarlo,  non paga né interessi né dividendi. Non ha un’utilità unica rispetto ad altre criptovalute [...], non è protetto da un governo o da un ente privato. È semplicemente una frode”. Ma casi del genere non sono esclusivamente legati ai nostri giorni; certo, nella società odierna iperconnessa le speculazioni che danno vita alle bolle finanziarie e ai conseguenti crolli di borsa tendono ad essere amplificate dalla rete e possono pertanto diffondersi prima e in maggior numero, ma se si guarda al passato non è da stupirsi che siano sempre esistite. Si narra che alla vigilia del crollo di Wall Street del 1929 il banchiere JP Morgan, all’atto di farsi lucidare le scarpe, si sentì chiedere conferma dal lustrascarpe se quello fosse il momento buono per investire in azioni. Morgan, sorpreso dal fatto che perfino un lustrascarpe pensasse che in quel periodo si dovesse entrare sui mercati azionari, dal momento che la borsa stava vivendo un periodo particolarmente felice, appena mise piede dentro Wall Street decise di vendere tutte le sue azioni, poichè nella domanda postagli dal lucidascarpe trovava la conferma che nella società dell’epoca c’era aria di speculazione, e dunque in quel dato arco temporale si sarebbe rivelata una scelta rischiosa lasciare della ricchezza investita sui mercati. Di fatto, qualche tempo dopo la borsa crollò.

Un altro esempio lampante di come il mondo della finanza sia così pesantemente influenzato dalla psicologia si può riscontrare negli storici di rendimento di un tipo di asset finanziario particolarmente remunerativo, cioè quello dell’equity. I mercati azionari, secondo un’analisi longitudinale del sito web Visual Capitalist, tendono effettivamente ad andare meglio in certi momenti dell’anno e peggio in altri, se si considerano gli indici FTSE 100 (relativo alle azioni inglesi), MSCI World (relativo alle azioni globali), S&P 500 (relativo alle azioni statunitensi) ed Eurostoxx 50 (relativo alle azioni europee), ovvero 4 dei principali indici azionari al mondo. E sapete qual è il periodo dell’anno in cui la spinta verso l’alto degli indici azionari è stata più marcata? Quello sotto Natale, che ha quindi dato vita, in ambito finanziario, al soprannome di “Santa Claus Rally”, che rende proprio bene l’idea della corsa al rialzo dei mercati finanziari nel periodo natalizio. Insomma, la magia del Natale fa sì che tutti diventino più buoni, anche i mercati finanziari! La spiegazione di questo fenomeno psicofinanziario? Se vogliamo credere a Babbo Natale potremmo ritenere che qualche bambino(ne) − nella letterina a questi indirizzata − ha chiesto di portare, oltre alle scontate pace e serenità, anche qualche più pratico profitto in borsa. Ma se invece non abbiamo voglia di credere a Babbo Natale, potremmo trovare la spiegazione di questo fenomeno nell’euforico effetto psicologico che le festività natalizie hanno su di noi (c.d. “magia del Natale”), e che quindi ci spingono − tra le varie cose − a essere più inclini agli acquisti. Questa spinta psicosociale a fare la corsa agli acquisti natalizi, pena il senso di colpa di non afferrare il “senso del Natale” e diventare presto dei cattivissimi Grinch, si ripercuote su ogni possibile tipo di acquisto una persona ritenga dovuto laddove capace di appagare l’impulso al possesso di qualcosa, così come ad apportare delle soddisfazioni al nostro ego. Se allora una persona è appassionata di tecnologia comprerà un nuovo smartphone o un nuovo PC, se è una che dà importanza alla moda un nuovo capo di abbigliamento, e se si tratta di una interessata agli investimenti...bè la conclusione è scontata: acquisterà dei prodotti finanziari, quali dei fondi, degli etf o delle singole azioni (stock). D’altra parte il possedere degli investimenti − al di là della finalità meramente economica di vedere aumentato il proprio patrimonio − è anch’esso un modo per appagare il proprio ego: se ad esempio posseggo delle quote della Apple o della Microsoft o della Tesla o della Berkshire Hathaway, mi posso sentire, rispettivamente, un po’ uno Steve Jobs o un po’ un Bill Gates o un po’ un Elon Musk o un po’ un Warren Buffett o un po’ tutti quanti loro se posseggo delle quote di tutte queste aziende; mi sento pertanto anch’io, almeno di riflesso, una persona ricca, capace, di successo, potente e famosa e, in altre parole, brillo di luce riflessa. Allo stesso modo, il possedere degli investimenti dà la speranza di poter diventare ricchi, molto ricchi, nel caso in cui gli stessi vadano tanto bene prima o poi. Si tratta, facendo un semplice confronto, della stessa finalità con cui ci si reca a giocare lo stipendio al Lotto o alle slot machines (da qui il detto popolare, magari improprio ma che rende bene l’idea di fondo, di “giocare in borsa”): si impiega un capitale iniziale sperando di potercisi arricchire, ma ovviamente se si tratta di investimenti questo iter verso la ricchezza si fa molto meno immediato, più complesso e sfaccettato, ma non per questo è meno orientato al raggiungimento di una speranza e al coronamento di un sogno. E questa speranza e questo sogno valgono molto per la nostra mente, perchè nella vita è sempre una bella esperienza sognare o sperare in qualcosa di bello, di meraviglioso, per noi stessi: ci aiuta a tirare avanti nei momenti di sconforto e in quelli di maggiore stress o monotonia.

 

In conclusione di questo articolo, ove psicologia e finanza, pensieri e mercati, menti e stock si intrecciano così tanto tra loro, è naturale che al lettore sorga spontanea una domanda: potrebbe esistere la finanza senza psicologia?



giovedì 7 ottobre 2021

PSICOLOGIA DELLE CRIPTOVALUTE: IL VALORE DI BITCOIN & CO É SOLO PSICOLOGICO?

ARTICOLO DI EUGENIO FLAJANI GALLI ESTRATTO DA ANANKE NEWS, FARE CULTURA E POLITICAMENTE CORRETTO.

Se Elettra Lamborghini twerka in un video come quello di Pem Pem, divenuto poi virale, lancia la moda di un ballo. Se un eccentrico miliardario quale Elon Musk si fa testimonial di una criptovaluta come il bitcoin, lancia la moda di un investimento. Un investimento che sicuramente avrebbe largamente ricompensato chi 10 anni fa ha acquistato anche solo una manciata di bitcoin. Ma le criptovalute non sono dei BOT a 10 anni, ed è estremamente difficile ipotizzare che ci sia tanta gente pronta a detenere un investimento estremamente volatile per così tanto tempo. Le criptovalute, a differenza di investimenti più tradizionali, oltre a essere estremamente volatili, sono circondate quasi da un’aura mistica, per cui non è raro trovare persone le quali sono profondamente convinte che i loro bitcoin ogni giorno possano aumentare di valore, ed ecco spiegato il perchè sono pronte a tenerli praticamente all’infinito. Ecco, ma sono convinte, cioè trattasi praticamente di una mera opinione personale, poichè a livello scientifico è praticamente impossibile stimare il valore delle criptovalute anche solo tra pochi mesi, proprio per la loro elevatissima volatilità. Possiamo dunque constatare che il valore di una criptovaluta sia formale, psicologico, legato insomma a quanto un certo gruppo di persone − ad esempio i “bitcoiners” − gli diano importanza. Senza tale valore psicologico, il bitcoin non varrebbe assolutamente nulla. Non si tratta di una materia prima, con un dato valore intrinseco, potenziale, dato dal suo successivo impiego, nè di un’azienda con utili e relativo patrimonio aziendale…insomma si tratta soltanto di un valore simbolico, che sussiste fino a quando ci sarà un sufficiente numero di persone − legate dalla moda di investire in criptovalute − le quali intendono darglielo. Si potrebbe ribattere che anche le valute fiat, cioè quelle tradizionali, abbiano solamente un valore simbolico, poichè, ad esempio, una banconota da 50 € di per sè è solamente un pezzo di carta, non ha dunque un valore pari a quello che ci si potrebbe acquistare spendendola, ma questo suo valore e questa sua spendibilità sono comunque sanciti dalla legge. Anche l’ex presidente della BCE Mario Draghi ha commentato che dietro a una valuta fiat c’è uno stato, c’è una banca centrale, mentre dietro alle criptovalute non c’è nulla; l’attuale premier italiano ha inoltre affermato che le criptovalute sono un asset (cioè un investimento) altamente rischioso e pertanto gli investitori che perdono anche grandi ricchezze poichè le hanno investite in criptovalute non andrebbero indennizzati. Nonostante ci si possano aspettare, tendenzialmente, parole più umane, comprensive e caritatevoli da un uomo rimasto orfano in giovane età e allevato dai gesuiti (il paragone con un’altra personalità cresciuta dai gesuiti, San Gabriele dell’Addolorata, è a dir poco impietoso), fatto sta che le criptovalute sono viste molto male dalle banche centrali e, più in generale, dai capi di stato, proprio perchè potrebbero far perdere il valore alle valute fiat. Certo, ci sono pure delle eccezioni, che confermano però la regola, come il caso isolato del piccolissimo stato di El Salvador, che per attirare investitori internazionali in una realtà ove la stragrande maggioranza degli investitori tradizionali non metterebbe mai piede (considerato anche che questa piccola nazione si basa principalmente su una economia di sussistenza e il Pil pro capite è estremamente basso) ha pensato bene di rendere il bitcoin la moneta ufficiale. Ma cosa dire invece dell’economia più potente al mondo, che ha praticamente superato anche quella degli USA, ovvero la Cina? Anche le autorità cinesi hanno accettato di buon grado i bitcoin? Nemmeno per sogno: a maggio hanno addirittura vietato alle banche le attività legate alle criptovalute, di fatto iniziando una vera e propria guerra economica contro di esse. Le conseguenze? Crollo del valore dei bitcoin. Ma il mese di maggio non è stato nero per i bitcoin solo a causa di tale decisione del governo cinese, poichè anche un semplice tweet può far crollare il valore dei bitcoin. E non è il tweet di qualche capo di stato, nè di organizzazioni criminali quali l’ISIS o Anonymous, ma dello stesso paladino della prim’ora dei bitcoin, Elon Musk, il quale un bel giorno si è svegliato, ha constatato che il processo di produzione dei bitcoin − il cosiddetto mining, un’attività che prevede degli appositi calcoli automatizzati da parte di computer di alta gamma, che necessitano di rimanere accesi e connessi alla rete praticamente notte e giorno − è altamente energivora e pertanto dannosa per l’ambiente, e dunque ha dichiarato con un tweet che la sua ditta automobilistica, la Tesla (che prima permetteva di acquistare auto in bitcoin, facendo dunque salire il valore degli stessi) non avrebbe più accettato tale forma di pagamento e che lui stesso si sarebbe concentrato su un altro tipo di criptovaluta più amica dell’ambiente. Stando così le cose, a meno che Elon Musk non sia stato posseduto da Greta Thumberg, il significato della sua mossa è semplice: amplificare o diminuire il valore del bitcoin a seconda del suo tornaconto personale. Questo è l’esempio lampante di quanta psicologia vi sia dietro ai bitcoin: in fin dei conti sono proprio gli atteggiamenti, le mode e le opinioni del momento − amplificati da esternazioni di personaggi e/o società importanti (e che pertanto sono in grado di esercitare un’elevata influenza sociale sui più) − a determinare il valore delle criptovalute. Ed è palese che siano tutti fattori estremamente imprevedibili e ondivaghi. Ecco perchè sono anche estremamente imprevedibili e ondivaghi i valori delle criptovalute. Ciò può portare con sè un elevato rischio, come ha affermato − oltre a Mario Draghi − anche gran parte delle associazioni dei consumatori. D’altra parte le persone che investono in asset tradizionali, come azioni, obbligazioni, fondi comuni ed etf, hanno quantomeno un minimo di tutela data dal fatto che su tale tipo di investimenti la legge prevede che vi sia la vigilanza della Consob e della Banca d’Italia; ma tra l’altro una persona che vuole effettuare un certo tipo di investimento tradizionale deve prima compilare un questionario detto “Mifid”, che praticamente ha lo scopo di chiarire le conoscenze e le competenze in materia finanziaria di un potenziale investitore, nonchè il suo patrimonio mobiliare ed immobiliare e la sua propensione al rischio. Tutte queste informazioni concorrono a stabilire, almeno sulla carta, quali possono essere gli investimenti migliori per una data persona. Tutte queste garanzie non esistono per quanto riguarda i bitcoin. Dopo il fallimento della banca Tercas, gli ex azionisti hanno potuto effettuare delle class action contro la banca stessa, ma invece se si perdono i bitcoin non si può fare causa a nessuno, poichè, come asserito anche da Mario Draghi, “Non c’è nessuno dietro ai bitcoin”. Ma proprio perchè tante banche spesso mal consigliano gli investitori, facendoli dunque perdere in borsa, esistono proprio delle società specializzate nel recuperare soldi persi in tal modo, laddove venga accertato il dolo da parte dell’istituto bancario. Ovviamente ciò non è possibile con le criptovalute, poichè sono un “non investimento”. Ma se si acquistano “a 10” e si vendono “a 20”, ci si guadagna la differenza (in valuta fiat). Non c’è altro modo per guadagnare con le criptovalute se non questo tipo di speculazione. Ma bisogna anche sperare che il valore della criptovaluta salga e che non ci sia nessuna persona in grado di orientarne il valore che un giorno decida di scrivere un bel tweet che la faccia crollare in borsa. E il caso del tweet di Elon Musk è magistrale, proprio nella sua surrealità e allo stesso modo, però, nel suo modo estremamente reale di influenzarne così pesantemente il valore. É un po’ come se un giorno la regina Elisabetta si svegliasse e scrivesse un bel tweet per far crollare il prezzo del tè: “Ora basta con questa storia del tè: noi inglesi ci siamo stufati di un simile clichè! Da oggi il pomeriggio si beve solo spritz! A breve verrà emanato un editto con cui si vieterà la produzione e la commercializzazione del tè su tutto il territorio del Regno Unito”. Poi l’Irlanda del Nord annuncia un referendum per annettersi con il resto dell’Irlanda, gli indipendentisti scozzesi annunciano che è arrivato il momento di fondare lo “Stato di Scozia” e i castelli del Galles vengono riconvertiti in laboratori clandestini di produzione di tè verde. A questo punto, dato che con i bitcoin si può acquistare, nel deep web, qualsiasi tipo di prodotto illegale, dalla droga alle armi, dai documenti falsi ai video pedopornografici, perchè non acquistare anche del buon tè?